martedì 21 novembre 2017

ERBA SPONTANEA: DA INFESTANTE DEI CAMPI A COMPAGNA CULINARIA

Potrebbe sembrare facile classificare una pianta, ma quando ci si imbatte in un'erba spontanea comincia il senso di smarrimento. Eh già, perché per classificare un'erba spontanea non bastano le categorie botaniche, intervengono anche quelle sociali e culturali. Tant'è che chi utilizza erba in cucina non si permetterebbe mai di definirla erbaccia, ma la nobiliterà col termine di erba spontanea.

Così la rucola e la cicoria smettono di essere infestanti dei prati che soffocano le altre piante invadendo il loro spazio vitale, per diventare un  saporito contorno. Lo stesso accade alla viola del pensiero, che da infestante dei campi di grano, diventa un grazioso fiore ornamentale di aiuole e balconi. Per non parlare dell'apprezzata pianta di goji, o della valeriana rossa. Si capisce subito, con questi pochi esempi, che è la categoria culturale a definire come classificare un'erba. Un'erba diventa quindi un'infestante non solo quando compare nel posto sbagliato, ma anche nel momento sbagliato.

Ma allora cosa sono le erbacce?
Le erbacce sono intruse selvatiche introdottesi in un prodotto della cultura umana. Sono come le mosche: vivono e si riproducono dove c'è vita umana. E come loro abitano le aree urbane disturbate: discariche, fabbriche, prati e campi abbandonati, crepe nei muri. E come loro hanno la straordinaria capacità di adattarsi a vivere nei luoghi peggiori, con i climi più avversi e stanno dove l'uomo non vuole che stiano: dove abita lui.

Appena l'uomo non è più onnipresente compaiono loro, a ricordarci che la selvaticità è sempre in agguato!

Richard Mabey nel suo libro Elogio delle erbacce, edito da Ponte alle Grazie ci svela il loro ruolo nella storia, nella letteratura (molto presenti in Shakespeare), nei campi, nell'economia, nella botanica e persino nella filmografia.
Mabey ce le fa diventare simpatiche e ci sorprende in ogni capitolo. Ok, vengono ritenute le responsabili dell'uso degli erbicidi e di ingenti spese di denaro per debellarle anche dai campi non coltivati, ma in realtà negli USA si usano più erbicidi per mantenere l'erba delle villette dei quartieri residenziali sempre alla giusta altezza, che nei campi del suo vasto territorio. Oppure, lo sapevate che negli anni venti del secolo scorso l'infestante più diffusa sul pianeta era il fico d'india?

Ci affanniamo tanto a cercare di debellarle ignorando che la maggior parte delle piante aliene ha vita breve, i posti liberi dove impiantarsi al di fuori dei campi coltivati sono pochi (a causa degli erbicidi i campi hanno tanto spazio libero attraente per le erbacce), i repentini cambi del clima le stroncano, per questo "le infestanti sono piante invasive che prosperano in un vuoto ecologico".

Poiché la guerra alle erbacce è impari e ci vedrà sempre perdenti (anche se le sconfiggessimo tutte, per farlo avremmo ucciso l'ambiente in cui viviamo) l'atteggiamento migliore è quello proposto dall'autore: "gli ecosistemi sono dinamici e si adattano ai cambiamenti climatici [...] del resto è necessario che lo siano per restare resilienti. Le piante invasive (autoctone o alloctone) non possono essere certo cancellate dalla faccia della terra a colpi di vanga o usando potenti erbicidi: la cosa migliore che possiamo fare e trovare il modo di includere nelle nostre vite e nei nostri ecosistemi le infestanti che già abbiamo, e di impedire l'arrivo di nuovi sgraditi ospiti".

Quello di Mabey è davvero un libro insolito, mai noioso, adatto ad allargare le nostre prospettive di pensiero e a guardare al "verde che ci circonda" con occhi nuovi.

Luigina Pugno
Cofondatrice del blog "Cibo al microscopio"
Relatrice al CNMP 2018: "Salute e alimentazione tra scienza, falsi miti e bufale 2.0"


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