domenica 25 febbraio 2018

LA TINCA GOBBA DORATA: DAL "CAMPO" ALLA TAVOLA

Invaso per allevamento di tinche
Che cos'è la Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino?

E' un pesce (con i baffi) che vive in piccoli laghetti, che si trovano in un territorio - prevalentemente agricolo - definito "Pianalto di Poirino". Tali laghetti vengono detti anche invasi o peschiere e si trovano su un terreno in gran parte argilloso. Non è difficile fare gli invasi, in quanto la terra argillosa si modella facilmente ed ha una certa capacità di trattenere l'acqua. Tuttavia può capitare che la superficie dell'acqua si copra parzialmente di alghe. In questo caso occorre svuotare l'invaso e poi riempirlo di nuovo. Il Pianalto è l'habitat naturale della Tinca, ma la si può trovare anche in altri laghi. Il territorio del Pianalto comprende parte della provincia di Torino, Asti e Cuneo, ma non ha confini politici. Esistono solo confini geografico-geologici.

Da dove proviene l'acqua delle peschiere?

Essenzialmente dal cielo e qualche volta anche dai pozzi.
Il Pianalto di Poirino

Come si pesca la Tinca?

Con delle nasse oppure con reti. Occorre comunque  utilizzare delle esche, fatte di pane secco oppure di polenta e crusca. Circa 20 anni fa, in inverno si formava sull'acqua (delle peschiere) uno strato di 10 cm di ghiaccio. Ora non di forma più: il cambiamento climatico si fa sentire anche qui.

Ma la Tinca, cosa mangia?

La Tinca preferisce acque non troppo fredde e piuttosto calme. Si muove facilmente sul fondo della peschiera e mangia soprattutto vermetti che trova sul fondo, ma talvolta  si nutre anche di insetti che si trovano sulla superficie dell'acqua. Se si vuole "spingere" l'allevamento si possono nutrire le Tinche rispettando i vincoli del Disciplinare (no OGM, no farine animali ecc.).

Quali sono le caratteristiche della Tinca?

E' ricca di omega 3, ferro e potassio. La sua carne è gustosa, ma è un prodotto di nicchia. Infatti le quantità ottenute negli invasi non sono molto elevate. Peraltro ci sono uccelli predatori che preferiscono le tinche, come ad esempio gli aironi. E ci sono anche le rane-toro che mangiano le uova di tinca. Quando l'acqua degli invasi è più fredda, le tinche tendono ad essere più scure. In ogni caso, riescono a resistere fuori dall'acqua anche 10 minuti. Le tinche maschio si distinguono dalle femmine poiché hanno le pinne più grandi.
La Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino

Come viene commercializzata?

Dal produttore viene venduta (viva) direttamente al privato oppure al ristorante o all'agriturismo. I ristoratori preferiscono le tinche lunghe 11-12 cm (e comunque non più di 20 cm). Affinché una tinca giunga al peso di 80-120 grammi occorrono due estati (un anno e mezzo circa di vita), poiché la crescita è piuttosto lenta.
La Tinca potrebbe essere venduta lavorata, ma per ora non c'è una richiesta del mercato in tale direzione.

Chi sono i maggiori produttori di Tinche?

E' in atto un passaggio generazionale (non semplice) dagli anziani ai giovani. In ogni caso le quantità di tinche non sono molto grandi, di conseguenza alcuni operatori del settore cercano di allargarsi sulla filiera tramite - ad esempio - l'apertura di un agriturismo, con il quale possono offrire il prodotto in loco direttamente ai consumatori.
Jacopo e Giorgia, produttori di tinche

Il primo produttore è Jacopo e lo trovate al Castello di Corveglia. Il secondo produttore è Giorgia (azienda agricola Pallaro Giorgia). Entrambi producono la Tinca D.O.P. (e sono gli unici due a possedere tale certificazione). Jacopo - nel castello - riesce a coniugare storia, enogastronomia e agriturismo. Giorgia ha abbracciato con entusiasmo l'antica attività di allevatrice di tinche ed è un segno tangibile del fatto che il testimone può passare ai giovani, che ora stanno puntando decisamente a fare rete per valorizzare il territorio.

Aperitivo presso
l'agriturismo Fricando'
Come la si può cucinare?

In carpione o fritta. Una volta la preparazione in carpione serviva più che altro per conservare le tinche, ma si trattava di carpioni "molto forti": si badava più alla conservazione che al gusto.

Dove si può mangiare la Tinca?

Ad esempio presso l'agriturismo Fricandò, dove - grazie ad Alessandro e Mariangela - il paté di tinca (anche come aperitivo) è ottimo. Per non parlare di peperoni e alici (buonissimi), toma, polenta con raschera e il superlativo lardo con noci e miele. Infine, e qui ho terminato gli aggettivi, il raviolo fritto è insuperabile.

Tinca fritta con patate novelle
nella Trattoria Primavera
Dopo l'aperitivo potete recarvi, per il pranzo, nella Trattoria Primavera di Poirino. E qui si comincia con il vitello tonnato, ma subito arriva una sorpresa: anguille in carpione (e sono da provare!). Segue la tinca in carpione, che ricorda le origini con un sapore fresco e delicato, ma poi giunge anche la tinca fritta (con le patate novelle) che piace - statisticamente - ad un numero maggiore di persone. Io le ho gradite entrambe, così come ho gradito il risotto nel brodo di tinca opportunamente aromatizzato (di cui ho chiesto il bis), un sorbetto bello denso e corposo e... infine un dolce strepitoso: un bunet che mi si è sciolto in bocca (e non aggiungo altro) ed una pera cotta col vino che ha dato il via definitivo alla festa di tutte le papille gustative...

Risotto al brodo di tinca
nella Trattoria Primavera
Come si mangia la Tinca?

Prima si toglie la pinna dorsale, poi la si prende con due mani dalle estremità (testa e coda) e si comincia a mordere la schiena (ovvero la gobba). Si mangia anche la pelle (che è buona) e la testa (se è ben pulita). Se la tinca è piccola si possono facilmente mangiare anche le lische. Insomma, nel piatto rimane ben poco.

Quando si potrà vederla, anche senza giungere fino alle peschiere del Pianalto?

Alla 61esima Fiera concorso della Tinca, il 12-13-14 maggio 2018 a Poirino (TO). In quell'occasione saranno allestiti degli appositi acquari. E sarà una festa.

Oltre alla Tinca, esistono altri prodotti tipici del territorio di Poirino?

Sì, gli asparagi e i canestrelli. Questi ultimi sono cialde cotte su piastre di ghisa.

RINGRAZIAMENTI
La prossima occasione per vedere le tinche
Ringrazio innanzitutto il Festival del Giornalismo Alimentare che mi ha dato la possibilità di partecipare al Press Tour del 24 febbraio 2018, la sindaca di Poirino, che ha unito le forze per una valorizzazione del territorio e poi anche i già citati Jacopo del Castello di Corveglia, Giorgia dell'omonima azienda agricola specializzata nell'allevamento di tinche, Alessandro e famiglia dell'agriturismo Fricando' e la Trattoria Primavera.

Walter Caputo
Food Science Blogger
N.B.: Le foto dell'articolo sono state scattate da Luigina Pugno e Walter Caputo.

venerdì 23 febbraio 2018

LA SCIENZA DEL PANE: DA COSA DIPENDE IL SAPORE DEL PANE?

Vari tipi di pane
Ho chiesto al Dott. Sergio Saia, che lavora al Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Cereal and Industrial Crops (CREA-CI), alcune spiegazioni scientifiche sul pane. Ne è venuta fuori una lunga intervista, di cui qui comincio a pubblicare la prima puntata (ma le altre seguiranno). Ho estratto le prime risposte, che riguardano il sapore del pane, perché è troppo facile (ed è troppo pubblicitario) affermare: "questo pane è buono come quello che mangiavano i miei nonni".

Cosa è sapore del pane?

Come è facile comprendere, il pane è un prodotto complesso. Sebbene lo si consideri apparentemente un prodotto fatto di “sola” farina, nei fatti, le componenti del pane sono molteplici e non provengono solamente dal frumento. Anche le altre componenti (acqua, agenti lievitanti, sali ed eventuali cofattori) sono erroneamente considerati semplici. Inoltre, la farina stessa è un prodotto con un elevatissimo grado di variabilità, il che la rende molto plastica per i vari usi a cui è destinata.

Alla complessità degli ingredienti, va aggiunta anche la variabilità delle tecniche produttive, le quali a parità di ingredienti di base possono portare a risultati molto diversificati. Quindi, i tipi di pane possono essere moltissimi e ad ogni tipo corrispondono caratteristiche diverse in termini di consistenza, sapore, odore, aroma, etc.

Infine, il pane è un prodotto consumato a seguito di una scelta del consumatore. Tale scelta comporta di per sé una diversa percezione dello stesso. È acclarato infatti che per ogni prodotto che consumiamo, una parte, talvolta cospicua, del sapore che percepiamo dipende dai desideri, dalle impressioni e dalle aspettative che trasferiamo nel prodotto stesso. Tali sentimenti, nel caso del pane, sono peculiari in quanto è considerato un prodotto della “tradizione” ed è, o è stato, ampiamente consumato. Tali sentimenti possono anche farci valutare come buono o eccellente un pane (e anche altri prodotti) che, se mangiato in completa assenza di informazioni sulla sua provenienza e fattura e senza nemmeno osservarlo prima di addentarlo, avremmo considerato come scarsamente qualitativo.

Ma allora, da cosa dipende il sapore del pane?

Fatti salvi i desideri che trasferiamo su esso, per semplicità di studio ed esposizione consideriamo alcuni aspetti cardine di tutto il processo della panificazione, inclusa la produzione del grano e la sua macinazione. In via teorica, dovremmo anche considerare anche gli aspetti di post-produzione, e soprattutto la conservazione prima del consumo, che può influenzare non poco l’umidità e con quella il sapore che percepiamo. Tuttavia addentrarsi nel post-produzione del pane è, per me, come camminare bendato in un campo minato e quindi mi limiterò a parlare degli aspetti tecnologici relativi alle fasi produttive.

Quindi, se “iniziamo dall’inizio” (come diceva il trio Aldo Giovanni e Giacomo in un famoso film), il primo dei fattori che possono avere un ruolo sulle proprietà (sapore, profumo, aroma, etc.) del pane è sicuramente il genotipo di frumento utilizzato. Attualmente, in produzione, si usano raramente singoli genotipi di frumento, se non in alcune produzioni di nicchia, tuttavia diverse prove sperimentali condotte in varie parti del mondo hanno mostrato che il genotipo ha un ruolo nel conferire determinati sapori al pane. Tuttavia siamo ben lungi dal dire quale genotipo (o sua caratteristica) sia quantomeno associata alla presenza di un dato sapore percepito. Ovviamente, quando parlo di genotipi, mi riferisco sia alla specie utilizzata (es. grano duro, tenero, farro, etc.) sia a una sua determinata varietà o popolazione coltivata (delle quali preferisco non citare nomi).

Attualmente, ad esempio, prove di valutazione sensoriale (panel test) su pani monovarietali non hanno condotto a grosse differenze tra due gruppi di genotipi cardine, cioè quelli chiamati “grani antichi” e “grani moderni” (espressioni che, per motivi tecnici, non amo affatto). Anzi, prove condotte su pani dei due gruppi panificati allo stesso modo hanno anche portato risultati in favore dei “grani moderni”. Tale risultato è paradossale per l’utente medio, ma normalissimo per gli addetti ai lavori, visto che uno degli obiettivi del miglioramento del frumento è stato quello di migliorare le caratteristiche delle proteine del frumento, e in particolare del glutine, che sono importantissime nei processi di trasformazione.

Non perdete la seconda puntata de: "La scienza del pane", che verrà pubblicata sempre qui, su "Cibo al microscopio".

Walter Caputo
Divulgatore scientifico

mercoledì 7 febbraio 2018

IL KEFIR E I LATTI FERMENTATI

"Il Kefir è la seconda tipologia di latte fermentato per importanza nel nostro paese: questa bevanda è un latte fermentato ottenuto per fermentazione acido-alcolica di latte pastorizzato o bollito ad opera di una microflora mesofila aggiunta mediante caratteristici "granuli" costituiti da un polimero del lattosio che ingloba la microflora specifica".

Trovate queste informazioni a pag. 130 del libro: "Igiene degli alimenti e HACCP", scritto da Antonietta Galli, Alberto Bertoldi e Laura Franzetti e pubblicato da EPC editore (ultima edizione: novembre 2017). Dell'importanza di questo testo, soprattutto ai fini della sicurezza alimentare, che deve partire da ristoratori e aziende alimentari, ho già scritto sul numero di febbraio del mensile "Ristorazione Italiana Magazine", puntando la lente di ingrandimento sulle comunità microbiche nei MOCA (Materiali e Oggetti a Contatto con gli Alimenti).

Il libro in oggetto è ben strutturato, in quanto è suddiviso in sezioni con un elevato grado di autonomia:
- Fattori di contaminazione degli alimenti (biologici, chimici e fisici);
- Relazione tra contaminanti e categorie di alimenti (es. carni, salumi, prodotti ittici, latte e derivati);
- Operazioni fondamentali della filiera alimentare (es. trattamenti a caldo, a freddo, chimici);
- Fattori strutturali ed organizzativi (es. tecnologia, personale, mercato);
- Esempi pratici di HACCP.

Ma si tratta di un libro utilizzabile anche per comprendere il cibo nella sua "intimità" fisica, chimica e biologica. Ad esempio, che cos'è il Kefir, di cui molti discutono oggi sul web? Come viene realizzato? Quali sono le sue caratteristiche? E' collegato in qualche modo al termine probiotico e prebiotico?

Innanzitutto - nel libro - dovete leggere la categoria "derivati del latte: latti fermentati, formaggi e burro". Qui troverete la sottocategoria "latti fermentati", all'interno della quale ci sono tre grandi gruppi: acidi termofili; acidi mesofili; acido alcolici. "Termofili" sono i microrganismi che si sviluppano in modo ottimale con temperature superiori ai 45-50 °C, mentre "mesofili" sono quelli che preferiscono una temperatura di 28-37 °C. Il terzo gruppo si distingue dagli altri due in quanto è caratterizzato, appunto, dalla fermentazione acido-alcolica.

Il più famoso latte fermentato fra gli acidi termofili è lo yogurt, fra i mesofili troviamo ad esempio il Lactofil di origine svedese e il Filmjolk scandinavo. Fra gli acido-alcolici troviamo il Kefir, ma anche il Gioddu (di origine sarda).

Abbiamo già detto che la materia prima del Kefir è il latte pastorizzato o bollito. La microflora specifica (inglobata da quella mesofila) è costituita da varie specie tra cui lieviti (Sacc. lactis e fragilis, Torula kephyr), bastoncini lattici omofermentanti (L. acidophilus) o eterofermentanti (L. brevis), streptococchi e Leuconostoc.

L. acidophilus, presente nel Kefir, rientra fra i microrganismi ai quali si attribuiscono proprietà probiotiche. Cito da libro: "Un microrganismo probiotico è un microrganismo che, introdotto vivo e vitale con la dieta, influenza positivamente l'ospite, migliorandone l'equilibrio microbico intestinale. I microrganismi probiotici sono per lo più forme lattiche". "Il termine probiotico non è da confondere con prebiotico, che si riferisce invece ad una sostanza alimentare che, ingerita, stimola lo sviluppo di microrganismi già presenti nell'intestino (probiotici)".

Walter Caputo
Divulgatore Scientifico


martedì 6 febbraio 2018

"LA PIZZA AL MICROSCOPIO" SU STARBENE

L'articolo di Roberta Camisasca su Starbene
"Da aprile 2018 ristoratori e pizzaioli dovranno rispettare un nuovo Regolamento europeo per la scelta degli ingredienti e le modalità di cottura, per evitare che l'acrilammide, una sostanza tossica e potenzialmente cancerogena che si forma normalmente durante cotture ad alte temperature, superi i livelli di guardia, bruciacchiando le pizze e mettendo a rischio la salute dei consumatori". Questa è solo una piccola parte dell'interessante articolo che Roberta Camisasca ha scritto sul settimanale "Starbene" uscito oggi in edicola.

In vista del Pizza Day americano del 9 febbraio 2018, l'articolo in questione serve anche per fare il punto della situazione su "uno dei piatti più amati e mangiati al mondo", come recita il sottotitolo del libro: "La pizza al microscopio", pubblicato da Gribaudo e scritto da Walter Caputo e Luigina Pugno, che sono stati intervistati da Roberta Camisasca per spiegare ai lettori di Starbene alcuni elementi caratterizzanti della pizza.

Perché scrivere un libro di divulgazione scientifica come "La pizza al microscopio"? Se esistono diverse varianti di pizza, come si fa ad affermare quali sono buone e quali sono "cattive"? Quanta pizza mangiamo e di che tipo? Siamo consapevoli che la pizza dà dipendenza? Troverete nell'articolo le risposte a queste domande e non solo. Si parla anche di "mode", ad esempio Luigina Pugno afferma: "che i grani antichi siano migliori di quelli moderni, però, è ancora da dimostrare".
La copertina di Starbene del 6 febbraio 2018

Si spezza poi una lancia a favore degli appassionati di pizza. Esistono persone che, pur non essendo professionisti, realizzano ottime pizze, curate in tutti i dettagli. Un esempio per tutti, di cui scrive Roberta Camisasca è l'ing. Thomas Violi, noto come Ing. Pizza. Il suo valore è stato riconosciuto dai professionisti. Ad esempio, Thomas ha scritto, su "Cibo al microscopio" una serie di articoli su come procedere, in modo scientifico, per preparare una buona pizza a casa: innanzitutto le materie prime, poi la fase di autolisi ed impasto, poi la puntata in massa e lo staglio e infine apretto, disco e cottura. Il successo di questi articoli è stato enorme: ad oggi sono state superate le 13.000 visualizzazioni.

Sul sito di Starbene è stata pubblicata una versione ridotta dell'articolo.

Walter Caputo
Coautore del libro "La pizza al microscopio"
Cofondatore del blog "Cibo al microscopio"
Science writer e redattore scientifico per Gravità Zero
Relatore al prossimo CNMP2018, convegno su cibo e pseudoscienza