Ripescaggio del latte addensato |
In un grosso paiolo c’era del latte crudo, che era stato riscaldato a 38°C. All’interno Loic ha messo poco caglio in polvere per far sì che il latte si addensasse. Questa è la procedura della “cagliata presamica” ed occorre aspettare circa 20 minuti, affinché il latte assuma la consistenza di un budino. Poi si procede con la rottura della cagliata, ma si deve far piano usando uno strumento simile ad un lungo coltello: prima si fa una sorte di croce e poi si procede nel taglio. Per romperla ulteriormente si utilizza una frusta con movimenti dal basso verso l’alto.
A questo punto si prende una fascella, cioè un bicchiere di plastica con molti fori e la si immerge nel latte addensato per ripescarla piena fino all’orlo. La si appoggia su un piano di legno per far colare un po’ di siero (che uscirà dai buchi della fascella). Poi si mette un po’ di sale grosso sopra e qui ci vuole esperienza: poco sale renderà il tomino insipido, troppo lo renderà immangiabile. Dopo aver atteso una decina di minuti – durante i quali altro siero sarà fuoriuscito e il sale si sarà sciolto – si può girare il tomino per salarlo dall’altra parte. Dopo un’altra decina di minuti lo si può ulteriormente girare solo per farlo asciugare. Non c’è bisogno di pressare il tomino, anzi è meglio non farlo, altrimenti poi vi sembrerà di masticare una gomma.
Lasciare solidificare in frigo e mangiare entro 2 o 3 giorni.
Tomino in preparazione a riposo |
Esistono altri metodi per fare tomini, fra i quali la cagliata lattica. In questo caso bastano 18-25°C, una quantità di caglio 10 volte inferiore, però occorre attendere 24 ore. Il risultato sarà più acido, ma la qualità del tomino sarà superiore, ci dice Loic, che si definisce “un apprendista allevatore alternativo”. Ma il suo apprendistato, in un certo senso, non finirà mai, perché è in una fase di formazione continua. Tuttavia Loic ha già raggiunto molti risultati: è – ad esempio – orgoglioso (giustamente) di aver realizzato da solo la cagliata lattica.
Lui è francese e ci ha detto di aver notato, soprattutto in Francia, che alcune aziende produttrici di formaggi hanno un bel logo con capretta e montagna; poi, se si va a vedere il luogo di produzione si scopre che si trova nella zona industriale a livello del mare……
Gli abbiamo detto che anche in Italia ci sono parecchi esempi del genere ed abbiamo concluso che i consumatori ignorano un po’ di cose fondamentali, ad esempio cosa significhi portare per 7 anni (in estate) 100 capre a 1500 metri di quota, lasciarle libere di pascolare e mangiare e poi doverle recuperare tutte ogni sera, ovunque siano andate a finire.
Walter Caputo e Luigina Pugno
Food Science Writer
Nessun commento:
Posta un commento