lunedì 5 novembre 2018

ORTORESSIA: QUANDO LA QUALITA' DEL CIBO DIVENTA OSSESSIONE

Il cibo e i suoi derivati stanno diventando la principale occupazione dell’essere umano. D’altro canto, secondo alcuni importanti neuroscienziati, se siamo arrivati ad un tale livello di evoluzione intellettuale, partendo da un cervello di semplice scimmia, lo dobbiamo proprio al cibo. Il grosso della nostra evoluzione umana è data dal fatto che ad un certo punto l'Homo ha scoperto che con il fuoco si potevano cucinare i cibi e grazie alla creazione di utensili ha potuto cacciare e tagliare la carne.

Ciò che ci distingue dalle altre specie è che usiamo strumenti per cacciare e cuciniamo il cibo. Il cibo è il “tormentone” degli italiani, che lo producono, lo vendono, lo trasformano, ne parlano in tv e sui social. Tante sono le figure professionali e sanitarie che girano intorno al cibo: ristoratori, food blogger, nutrizionisti, personal trainer e psicologi. Questi ultimi sono impegnati a curarci dagli effetti negativi che il cibo ha sulla nostra mente.

La preoccupazione per il cibo è come un moderno virus, che può colpire chiunque, e quando se ne viene colpiti si può sviluppare l'ortoressia. La parola deriva dal greco ὀρθός (orthós), corretto, e ὄρεξις (órexis), appetito, ed è un comportamento caratterizzato da:

a. ossessione per il cibo sano (privo o con pochi grassi, additivi ecc);

b. focalizzazione non sulla quantità ma sulla qualità;

c. evitamento ossessivo di cibi non controllati;

d. evitamento delle situazioni sociali che espongono al non controllo del cibo;

e. convinzione fideistica delle proprie scelte e intolleranza nei confronti di altre scelte alimentari.

Nel DSM-V viene inserita tra i disturbi alimentari ed è caratterizzata da un pensiero rigido, fisso e ossessivo verso tutti i processi che portano il cibo in tavola e che potrebbero comprometterne la salubrità. Mangiare in modo sano fa bene, ma farlo in modo ossessivo compromette la salute mentale. Quando la preoccupazione diventa eccessiva le conseguenze possono essere:

- forte aumento della spesa per alimenti percepiti di qualità;

- danni alla salute derivati da squilibri nutrizionali;

- difficoltà nelle relazioni sociali.

L’ortoressia all'inizio non appare come un vero e proprio disturbo, ma come una specie di regime alimentare selettivo, quasi come una dieta un po’ troppo salutista, attenta alla composizione dei cibi. In una recente ricerca è stato dimostrato che i fattori che maggiormente influiscono sulla nascita di un disturbo ortoressico sono: la tendenza comportamentale al perfezionismo, la presenza di disturbi alimentari in famiglia, relazioni familiari trascuranti, l'influenza sociale.

Questa patologia è una recente novità. Come ci ricorda Antonio Cerasa in "Diversamente sano - Liberi di essere folli", edito da Hoepli, la patologia mentale è in aumento, perché la società è sempre più complessa. Cerasa cerca di tener conto della complessità affrontando alcune patologie da diversi punti di vista: psicologico, neuroscientifico e sociale, camminando sulla sottile linea di confine tra la sanità e la patologia, in cerca di una terza “area” dove ci si può sentire diversamente sani.

Dott.ssa Luigina Pugno
Psicoterapeuta

GLI ZUCCHERI SPOGLIATI DI MITI, LEGGENDE E FAKE NEWS

Quante persone entrano in un bar e scelgono di bere un caffè con zucchero di canna? Credo che siano molte, ma credo anche che non sappiano perché evitano lo zucchero bianco, ovvero il comune saccarosio. Probabilmente alcuni rifiutano lo zucchero bianco perché è raffinato e sono convinti che faccia male. Sicuramente tali persone non hanno conoscenze chimiche adeguate e hanno deciso di informarsi sullo zucchero da chi non è chimico o da chi ha interesse a vendere determinati prodotti o da chi mette in circolazione fake news su una certa categoria di prodotti, per avvantaggiare i prodotti "concorrenti" o alternativi. C'è poi anche chi si perde in mille commenti e sottocommenti di facebook, scritti da soggetti che non hanno alcun titolo inerente la materia e anche da qualcuno che il titolo ce l'ha, e magari anche le competenze e l'esperienza, ma viene attaccato ai polpacci da tutti gli altri, che sono tanti, agguerriti e spesso maleducati.

Quelli sopra elencati sono i motivi per i quali il Prof. Pellegrino Conte, Ordinario di Chimica Agraria presso l'Università degli Studi di Palermo, ha scritto: "Frammenti di Chimica - Come smascherare falsi miti e leggende". Il libro in questione è stato pubblicato da C1V Edizioni, nella collana "Scientia et Causa" a cura di Armando De Vincentiis. E non tratta solo di zuccheri, ma anche di acqua, omeopatia e matite copiative nei seggi elettorali.

Torniamo quindi allo zucchero, anzi no, agli zuccheri, perché ce ne sono un sacco. Dobbiamo poi fare attenzione al linguaggio che usiamo, in quanto va sempre contestualizzato: i chimici fra di loro si intendono, mentre gli altri usano i termini chimici in maniera approssimativa, se non del tutto errata. Prendiamo ad esempio il termine "raffinazione": significa purificazione, procedura necessaria affinché il saccarosio estratto dalle barbabietole da zucchero possa essere ingerito. L'obiettivo della raffinazione è il miglioramento delle caratteristiche organolettiche del prodotto finale. "Gli unici composti chimici che vengono usati durante le fasi di estrazione/purificazione sono acqua calda, idrossido di calcio e anidride carbonica. Nessuno di questi composti è tossico" scrive il Prof. Pellegrino Conte. Di conseguenza la raffinazione non rappresenta un pericolo per la salute.

D'altro canto la presunta salubrità dello zucchero di canna è legata ai nutrienti contenuti nella melassa. Tuttavia tali nutrienti sono presenti in quantità minime, di conseguenza se volessimo raggiungere le dosi giornaliere medie dovremmo assumere circa 20 bustine di zucchero di canna al giorno. "Quanti di noi prendono venti caffè al giorno dolcificato con zucchero di canna? Nessuno, a meno che non vogliamo, scientemente, avere problemi cardiaci" scrive a tal proposito Pellegrino Conte. E per ottenere questi risultati, basta un po' di matematica elementare, ma - si sa - talvolta basta nominare la matematica per farsi il vuoto intorno.

Naturalmente nel libro in oggetto troverete tante altre informazioni e spiegazioni sugli zuccheri, tutte adeguatamente documentate da fonti scientifiche attendibili. L'analisi dell'autore è talmente precisa che arriva anche ad evidenziare le cautele da adottare nei confronti di fonti scientifiche che presentano limiti metodologici o che trattano di scoperte che ancora non sono state verificate da altri scienziati. Quindi, nella lettura, vi viene chiesta anche un po' di pazienza e un po' di fatica, che sono normali richieste quando si vuole apprendere. In alternativa c'è sempre l'università di Google o quella di Facebook, che però non vi portano da nessuna parte.

Walter Caputo
Divulgatore Scientifico:
- dal 2008 per Gravità Zero
- dal 2016 per Cibo al microscopio

martedì 9 ottobre 2018

RAP CON LA PIZZA AL MICROSCOPIO

Alp King (a destra) con Giulio Prosperi
Ve lo dico francamente: né io, né Luigina Pugno avevamo mai presentato il libro "La pizza al microscopio" (Gribaudo editore) in uno Street Food - Beer - Pizza Festival. Certo, abbiamo tenuto conferenze al Festival della Scienza di Genova, al Festival della divulgazione di Potenza, in libreria e comunque in ambiti molto lontani da un luogo all'aperto, dove trovi circa 70 stand di street food, birra e pizza. Insomma, si tratta di un posto in cui la gente va per mangiare, camminare, chiaccherare e divertirsi. Mica per ascoltare due tizi su un palco sulle origini della pizza, sulle ultime notizie e sulle tendenze della pizza, nonché sugli aspetti salutistici (e meno salutistici) di uno dei piatti più amati al mondo...

Sabato 6 ottobre a Milano è venuta giù la pioggia per quasi tutta la giornata e faceva piuttosto freschino... Eppure, grazie agli organizzatori di Level Up Events, all'attore Giulio Prosperi, ai tecnici del suono e delle luci, io e Luigina Pugno abbiamo risposto alle domande del conduttore Giulio, naturalmente senza più seguire lo schema che avevamo preparato. E' proprio questo il bello  della divulgazione scientifica in strada: niente slide, niente proiettore, niente computer, solo un foglio di carta in mano che - a fine intervento - si è solo stropicciato senza essere stato letto. 

Ma la parte davvero sorprendente è stata quella che ha preceduto la "conferenza" e che ha attirato un bel po' di persone a sedersi su panche di legno e ad ascoltarci. Io e Luigina Pugno non ne sapevamo nulla e - immagino - neanche gli spettatori, ed eravamo lì ad aspettare di salire sul palco... quando un tizio sale sul palco e non si capisce perché sia lì. Comincia a produrre suoni con la bocca e poi inizia a cantare improvvisando. Dopo un po', a corto di parole o di ispirazione comincia a dare un'occhiata al libro "La pizza al microscopio" che gentilmente Giulio Prosperi sfoglia per lui. Ed ecco che saltano fuori rime sul glutine, su Napoli e persino sull'HACCP. E gli spettatori arrivano, si siedono e battono le mani. Sono tutti sorpresi e divertiti mentre ascoltano il rapper Alp King. Quello che potete vedere in questo articolo è un breve video che ho fatto io, per conservare memoria di un momento unico. Buona visione e buon divertimento!

Walter Caputo
Food Science Writer

mercoledì 19 settembre 2018

STREET FOOD, PIZZA E BIRRA A MILANO DAL 5 AL 7 OTTOBRE CON "LA PIZZA AL MICROSCOPIO"

Street food, pizza e birra, cosa si può desiderare di più? A Milano, in Via Valtellina 5, potrete soddisfare tutti gli appetiti del vostro palato: non a caso l'evento si chiama: "Food! Tutto ciò che vuoi mangiare". Quando? E' presto detto: 5 - 6 -7 ottobre 2018. Ce ne sarà veramente per tutti i gusti, in quanto si tratta di tre manifestazioni collegate fra loro: International Street Food Parade, Pizza Festival e
World Beer Festival.

Venerdì 5 ottobre l'orario previsto è dalle 17:00 fino a mezzanotte, mentre sabato 6 e domenica 7 siete attesi dalle 12:00 a mezzanotte. Ma, come si usa dire, non si vive di solo pane, quindi troverete anche musica, laboratori, aree tematiche e giochi per bambini.

Tra le conferenze previste, ci sarà anche un intervento degli autori de "La pizza al microscopio". Infatti Level Up Srl, la società che ha organizzato l'evento ha voluto portare anche un po' di storia e scienza della pizza al Pizza Festival. E così, sabato 6 ottobre alle 19:30, dovrete necessariamente fare una breve pausa dal vostro giro di degustazioni, se volete ascoltare il sottoscritto e Luigina Pugno su alcuni aspetti particolarmente interessanti e divertenti di storia e scienza della pizza.

Ah, dimenticavo una cosa piuttosto importante: l'ingresso è gratuito!!!

Organizzazione, gestione e management: Level Up Srl

Walter Caputo
Food Science Writer


giovedì 13 settembre 2018

IL PANE UZBEKO ALLA RIBALTA GRAZIE A THOMAS VIOLI

Thomas Violi è un panificatore-pizzaiolo non professionista. Ma i risultati che ottiene sono davvero ragguardevoli, e le sue spiegazioni precise ed esattamente quantificate. D'altronde è anche un ingegnere. Su questo blog ha già pubblicato una serie di articoli di successo: ha infatti fornito la ricetta scientifica completa per fare la pizza a casa ed ha ottenuto più di 16.800 visualizzazioni. Di Thomas, noto sul web come Ing. Pizza, ha parlato anche il settimanale Starbene lo scorso 6 febbraio.

Nel 2017 ho fatto un viaggio in Asia Centrale e - in Uzbekistan - ho trovato un pane molto particolare ed anche uno strumento che serve per ottenere la forma che deve avere. Ho deciso di acquistarlo ed inviarlo a Thomas, perché mi sono detto: "Solo lui può raccogliere la sfida di realizzare un pane simile a quello uzbeko". Non mi ero sbagliato, Thomas ce l'ha fatta ed ha prodotto una documentazione di valore che vado a pubblicare qui di seguito, a beneficio di tutti i panificatori - sperimentatori e di tutti gli amanti del pane.

Walter Caputo - Food Science Writer

La ricetta in questione è quella del Nan/Naan/Non dell'Uzbekistan, un pane nel cui impasto c'è generalmente dello yogurt e che, prima di esser infornato, viene decorato e “punzecchiato” con lo stampo donatomi. La cottura originale avviene nel Tandoori, un particolare forno cilindrico dove le forme vengono letteralmente appiccicate sulle pareti. Quella che vi presento è la mia versione del Naan Uzbeko e sono sicuro che stupirà tutti quelli che la proveranno.

LA LISTA DELLA SPESA PER 2 NAAN

Ho effettuato diverse ricerche sia in biblioteca che sul web per capire l’essenza della ricetta del Naan, trovando un’enormità di varianti e scoprendo che il Naan Uzbeko è diverso rispetto alla versione indiana più diffusa ed è più mollicoso e ben alveolato.
Date queste prerogative e l’”idratazione” complessiva fornita dall’acqua e dallo yogurt (composto all'80-90% da acqua), ho preferito utilizzare un impasto indiretto - eseguito cioè in più fasi - tramite il poolish.

IMPASTO
  • 700 grammi di farina di grano tenero tipo 0 o tipo 1 (W: 320-350)
  • 300 grammi d'acqua
  • 200-230 grammi di yogurt
  • 10 grammi di sale fino iodato
  • circa 1 grammo di lievito di birra compresso (fresco)
  • 4 grammi di malto d’orzo diastasico in polvere (opzionale)
  • 30 grammi di olio extravergine di oliva
FINITURA
  • 30 grammi di olio extravergine di oliva
  • 30 grammi d'acqua
  • Semi di papavero
PROCEDIMENTO

1. POOLISH

Questo tipo di pre-impasto è di facile realizzazione, è versatile nelle tempistiche e si presta bene ad essere preparato in casa perché va conservato a 20/21°C. Per farlo si deve miscelare con una frusta:

- 300 grammi di farina di grano tenero tipo 0 o tipo 1 (W: 320-350)
- 300 grammi d'acqua
- lievito di birra compresso (fresco):

  • 0,5 grammi per 12 ore
  • 0,4 grammi per 14 ore
  • 0,3 grammi per 16 ore

NOTA: la quantità di lievito di birra è molto ridotta e per misurarla è utile una bilancia di precisione o il più economico bilancino a cucchiaio.

Le uniche accortezze da adottare per realizzarlo sono le seguenti:
  • La temperatura dell’acqua deve essere la seguente:

  • è consigliabile - anche se non indispensabile - sciogliere il lievito nell’acqua prima di inglobarlo nella farina;
  • usare un contenitore con un volume di circa 2,5-3 volte quello del poolish.

Omogeneizzata la massa, coprire con pellicola, realizzare alcuni fori con un ago e mettere a riposare per la tempistica prescelta a 20/21°C in un luogo protetto da correnti d’aria e sbalzi di temperatura. 
Il poolish è pronto quando risulterà visivamente bolloso e leggermente afflosciato verso il centro del contenitore.

2. IMPASTO - CON PLANETARIA

Per prima cosa preparare tutti gli ingredienti già pesati e mettere lo yogurt in frigorifero nella parte più fredda (generalmente quella più bassa) o anche in freezer per una decina di minuti. Utilizzare lo yogurt molto freddo servirà perché la fase d’impasto è lunga ed è l’unico elemento che consentirà di non surriscaldare l’impasto.

Iniziare inserendo nella bacinella della planetaria:
  • 400 grammi di farina di grano tenero tipo 0 o tipo 1 (W: 320-350)
  • poolish
  • 0,7 grammi di lievito di birra compresso (fresco)
  • 4 grammi di malto d’orzo diastasico in polvere (opzionale)
  • 10 grammi di sale fino iodato
  • 30 grammi di olio extravergine di oliva
Cominciare miscelando a mano tutti gli ingredienti (tranne lo yogurt) finché si saranno amalgamati.
NOTA: consiglio di eseguire questa prima fase a mano perché la planetaria, sia usando il gancio ad uncino che la foglia, fatica ad amalgamare gli ingredienti con il poolish.

Mettere poi l'impasto in planetaria alla minima velocità con il gancio a foglia. Dopo circa 5 minuti la massa dovrebbe risultare omogenea e compatta e si può iniziare ad inserire 200-230 grammi di yogurt. 
L’inserimento va effettuato con molta gradualità, un cucchiaio alla volta. Dopo 5 minuti aumentare leggermente la velocità della planetaria e considerare che l’inglobamento dovrebbe richiedere circa 12/15 minuti. Se è molto caldo è conveniente riporre lo yogurt in frigo dopo ogni inserimento. Quando si sta per terminare lo yogurt, se si nota un’estrema fatica nell’inglobamento dello stesso nell’impasto, non inserirne altro.  
Terminato l'inserimento ripulire la foglia, ribaltare l'impasto e terminare con ulteriori 3/5 minuti aumentando leggermente la velocità della planetaria, ripetendo un paio di volte la pulizia ed il ribaltamento dell'impasto. Si può considerare l'impasto chiuso e ben incordato quando si staccherà in modo netto e pulito dalla foglia ed avrà una temperatura compresa tra i 25 e i 28°C. 

NOTA: Bisogna porre molta attenzione al limite di temperatura superiore e se durante la fase di impastamento ci si accorge di essere molto vicini ai 28°C, è consigliabile spegnere la planetaria e porre al di sopra dell'impasto, coperto prima con della pellicola, due mattonelle di ghiaccio per raffreddarlo (circa 10 minuti). Questa soluzione è molto estrema, ma si evita così di cestinare l’impasto.

NOTA ULTERIORE: Per chi volesse ridurre le tempistiche con un riposo in frigorifero di 18-24 ore è necessario:
1. Ridurre la forza della farina che dovrà essere preferibilmente W: 280-300
2. Aumentare la dose di lievito di birra a 1,5 grammi

3. PIEGHE

Terminato l'impasto eseguire 3 cicli di pieghe in ciotola ad intervalli di 15 minuti d'estate e 20 minuti d’inverno. Per eseguire le pieghe la procedura è la seguente:
a. Prendere l’impasto da sotto;
b. Sollevare un lembo e portarlo sopra;
c. Premere leggermente;
d. Ruotare di 90° la ciotola e riprendere dal punto "a" per 3-4 volte.



4. PUNTATA
Inserire l'impasto in un contenitore ermetico oliato, con capienza circa 2,5 volte superiore all'impasto e lasciare l'impasto ad una temperatura di 0-4°C per il tempo prescelto (24/36-48 ore)


5. STAGLIO E FORMATURA (A FREDDO)
Estrarre l’impasto dal frigo.


Tagliare a metà l'impasto, pesare e pareggiare il peso dei due panetti (circa 600/630 grammi).


Formare i panetti a secco:
a. Allungare leggermente l’impasto
b. Arrotolarlo con delicatezza
c. Completato l’arrotolamento
d. Ruotarlo di 90° e ribaltarlo sotto/sopra
e. Richiudere l’impasto formando una pagnotta pirlando con leggerezza
f. Lasciare riposare e dopo 5-10 minuti pirlare nuovamente con leggerezza


6. APRETTO
Infarinare i panetti ed inserirli in un contenitore preferibilmente circolare.


Attendere il raddoppio dei panetti (4-5 ore).


7. STESURA E FARCITURA

Preparare un’emulsione con:

  • 30 grammi d'acqua
  • 30 grammi di olio extra vergine d'oliva

usando un mixer ad immersione finché non si ottiene un composto denso, uniforme e bianchiccio.

Procedere alla stesura:
a. Ribaltare il panetto su un piano infarinato (meglio con semola di grano duro) e allargarlo delicatamente.
b. Appiattire bene la parte centrale.
c. Imprimere lo stampo decorativo.
d. Punzecchiare l’impasto con uno spillo (per evitare eventuali bolle giganti).
e. Cospargere l'impasto con l'emulsione di olio e acqua.
f. Finire coprendo con semi di papavero.


8. COTTURA

Eseguire la cottura direttamente sulla pietra refrattaria o il biscotto.
Forno tradizionale: alla massima temperatura in modalità statica per 8 minuti e poi ventilato per 3-4 minuti verificando a vista la perfetta doratura.
Forno elettrico semi-professionale: impostare platea e cielo a 320°C ed una volta infornato abbassare la platea a 280°C ed il cielo a 220°C per circa 8 minuti. Concludere la cottura a vista aprendo il portellino a più riprese ed eventualmente alzando la temperatura del cielo.


Ed ecco la video-ricetta del Naan italiano realizzata da Thomas Violi.


Buon appetito da
Thomas Violi

N.B.: Testo, foto, video e tabelle di Thomas Violi












martedì 7 agosto 2018

VEGANO = SANO?

Si definiscono vegani i vegetariani totali, ovvero coloro che non mangiano alcun cibo di origine animale. Ciò significa che i vegani non si limitano ad escludere la carne dalla loro alimentazione, ma anche crostacei, molluschi, uova, latte, miele. La dieta vegana ruota intorno a cereali, legumi, verdura, frutta fresca e a guscio, semi  e oli vegetali. Chi si limita alla sola dieta priva di derivati animali dovrebbe più correttamente definirsi vegetariano, perché chi è vegano abbraccia una filosofia di vita cruelty free, che evita di arrecare danni agli animali. Quindi non si usano capi di abbigliamento che provengano dagli animali come ad esempio il maglioncino di lana, cani poliziotto ecc.

Secondo il Rapporto Italia 2017 di Eurispes il 7,6% della popolazione è veg, più di preciso il 4,6% è vegetariano, mentre il 3% è vegano. Rapportato alla popolazione italiana significa che 1,7 milioni di persone in Italia sono vegane.

Le ragioni per cui si segue una dieta vegana sono diverse. Per motivi di salute: la carne e gli alimenti di origine animale possono danneggiare la salute; per etica: non sfruttare gli animali; per tutela ambientale: gli allevamenti intensivi non solo danneggiano gli animali, ma anche il pianeta Terra.

Qui ci occupiamo delle ragioni salutistiche. Lo IARC e l'OMS sono i punti di riferimento per quanto riguarda la salute e il cancro. Dopo aver esaminato circa 800 studi epidemiologici lo IARC ha inserito le carni processate (sottoposte a salatura, stagionatura, affumicatura ecc) in classe 1. Le considera quindi sicuramente cancerogene per l'uomo. Mentre la carne rossa è stata inserita in classe 2a, cioè in quella probabilmente cancerogena. In particolare tra carni rosse e processate e tumore al colon-retto esiste una correlazione. A causare il tumore sarebbe la presenza nella carne dell'eme (o gruppo eme, o ematina), un complesso chimico che si trova nell'atomo del ferro, che, come si sa, è molto presente nelle carni rosse.

Oltre a ciò nelle carni e nei prodotti che hanno origine dai mammiferi si riscontrerebbe la presenza di ormoni e additivi. Nelle carni lavorate si ritrovano additivi utilizzati per ritardarne l'alterazione. Queste carni contengono nitriti e nitrati aggiunti come conservanti, ma in grado di trasformarsi in nitrosammine, che sono noti carcinogeni. Inoltre, ormoni dati agli animali per farli crescere di più e antibiotici usati per curarli possono causare nell'uomo fenomeni di antibioticoresistenza.

Se non ci si ferma ad una lettura superficiale di quanto pubblicato da IARC e OMS, ma si prosegue con la lettura completa si scopre che in classe 1 ci sono anche le sigarette e gli alcolici. La presenza di un alimento o altro in una classe non è indicativo della sua “potenza di pericolosità”, infatti la potenza delle sigarette nel causare il cancro è decisamente superiore a quella della carne rossa e processata. Lo IARC indica anche le quantità che si possono consumare senza correre rischi, che sono  non più di 50 grammi al giorno di carni lavorate e 100 grammi di carni rosse (solo carni rosse, non tutte le carni o latte, formaggi e uova). A conti fatti se si mangiassero tutti i giorni più di mezz'etto di insaccati e più di un etto di carne rossa i casi di tumore al colon-retto passerebbero da 5 a 6 ogni 100 persone! Siamo lontani da un aumento preoccupante.

Per quanto riguarda l'uso di ormoni o di sostanze ad attività ormonale (come la crusca di plastica) tantissimi ignorano che sono state vietate negli allevamenti italiani dal 1981, mentre sono consentiti in Usa e Canada, per questo motivo dal 1988 l'Europa ha smesso di importare carne da questi paesi. Le 40.000 analisi che vengono condotte annualmente non hanno mai riscontrato un campione positivo.

Gli antibiotici sono ovviamente consentiti per curare l'animale, come avviene per l'essere umano, e tipologia e quantità sono normate dalla legge, sempre come avviene per gli umani. Negli animali inoltre vengono tenuti in considerazione i tempi di smaltimento dell'organismo per far sì che quando l'animale viene macellato, non siano più presenti nel suo organismo.

Infine gli additivi come nitriti e nitrati sono presenti anche nei vegetali. I nitrati si trovano nella maggior parte delle verdure, e in quelle a foglia verde, persino in gran quantità. I nitriti si trovano in alcuni ortaggi come le patate. Detto ciò bisogna ammettere che il ridotto o inesistente apporto di alimenti di origine animale riduce il colesterolo, come sappiamo, implicato nelle malattie cardiovascolari.

A questo punto sarà chiaro per il lettore che scegliere la dieta vegana per motivi salutistici non ha un gran fondamento. 

Vediamo insieme gli effetti che ha la dieta vegana sull'organismo umano.
Qui riporto un elenco di ciò che manca del tutto o in parte nella dieta vegana: vitamina B12, D, omega3 (assenti), calcio, zinco e ferro (molto carenti). Chi segue questa dieta deve assolutamente colmare queste carenze con l'assunzione di integratori.

Ed ecco un elenco di cosa si può trovare in abbondanza nella dieta vegana: antinutrienti (molecole che ostacolano o impediscono l'assorbimento dei nutrienti) come acido fitico e i suoi sali (presenti nei cereali integrali), fitati, acido ossalico, inibitori della proteasi e lectine (presenti in fagioli, soia, cereali e frutta a guscio). Per ostacolare l'effetto degli antinutrienti è necessario lavorare gli alimenti attraverso la macinazione, l'ammollo, la germinazione, la lievitazione acida, la fermentazione. Insomma gli alimenti cardine della dieta vegana non si possono assumere solo così come sono.
Oltre agli antinutrienti abbondano anche gli zuccheri dei carboidrati e gli omega6 presenti nell'acido linoleico.

Queste abbondanze e carenze sono responsabili, a breve o lungo termine, in chi segue la dieta vegana di: 
- amenorrea: causata da calo ponderale e di grassi;
- anemia: causata da carenza di ferro e vitamina B12;
- disturbi del comportamento alimentare: anoressia (probabilmente presente prima di abbracciare questa dieta) e bulimia (causata dagli sbalzi glicemici);
- ansia, depressione e DAP. Causati da livelli inadeguati di vitamina B12, omega3, ferro, triptofano che è un precursore della serotonina, e colesterolo, implicato nell'attività ormonale e di conseguenza ha effetti anche sui livelli ormonali non sessuali, ma che regolano il funzionamento fisico e mentale
caduta di capelli: causata da apportii nsufficienti di zinco e ferro;
- comportamenti aggressivi: causati da carenza della B12, colesterolo;
- danni neurologici: causati da carenza di B12 ed eccesso di omocisteina;
- debolezza: causata da carenze di B12, ferro, zinco, proteine e testosterone sintetizzato a partire dal colesterolo;
- deperimento muscolare: causato da carenze di proteine;
- ipotiroidismo: causato da carenze di iodio e selenio;
- indebolimento delle difese immunitarie: causato da carenza di ferro, zinco, selenio, vitamine D e B12, e proteine;
- infertilità: causata da carenza di testosterone, o eccesso di estrogeni;
- osteoporosi e carie: causati da carenze di vitamine B12 e D, proteine, omega3, calcio e vitamina K2;
- pancia gonfia e meteorismo: causati dalle fermentazione nell'intestino dei vegetali;
- patologie cardiovascolari: causate da aumento di omocisteina, omega6 e carenza di B12.


Esistono davvero tanti studi scientificamente validi che dimostrano gli effetti negativi, a volte irreversibili, della dieta vegana e che i benefici di questa dieta, come la prevenzione del cancro e delle malattie calrdiovascolari, gli effetti benefici sulla glicemia e il colesterolo sono a conti fatti inesistenti.

Bibliografia:
- Luca Avoledo - "No vegan - la verità scientifica oltre le mode"- ed. Sperling e Kupfer (e tutta la corposa bibliografia relativa ai suoi capitoli 9-10 e 11);
- Silvia Bencivelli, Daniela Ovadia -  "E' la medicina, bellezza! - Perché è difficile parlare di salute" - Carocci editore.

Dott.ssa Luigina Pugno

mercoledì 18 luglio 2018

COME FARE TOMINI FRESCHI CON LATTE, CAGLIO E SALE

Ripescaggio del latte addensato
Ci sono sempre piaciuti gli esperimenti scientifici in diretta, soprattutto quelli sul cibo. E’ per questo motivo che, mentre giravamo ad Usseglio tra gli stand della 22° Mostra regionale della Toma di Lanzo, ci siamo fermati ad ascoltare Loic Allaire (con due puntini sopra la “i” di Loic). Faceva vedere ai bambini come fare tomini freschi.

In un grosso paiolo c’era del latte crudo, che era stato riscaldato a 38°C. All’interno Loic ha messo poco caglio in polvere per far sì che il latte si addensasse. Questa è la procedura della  “cagliata presamica” ed occorre aspettare circa 20 minuti, affinché il latte assuma la consistenza di un budino. Poi si procede con la rottura della cagliata, ma si deve far piano usando uno strumento simile ad un lungo coltello: prima si fa una sorte di croce e poi si procede nel taglio. Per romperla ulteriormente si utilizza una frusta con movimenti dal basso verso l’alto.

A questo punto si prende una fascella, cioè un bicchiere di plastica con molti fori e la si immerge nel latte addensato per ripescarla piena fino all’orlo. La si appoggia su un piano di legno per far colare un po’ di siero (che uscirà dai buchi della fascella). Poi si mette un po’ di sale grosso sopra e qui ci vuole esperienza: poco sale renderà il tomino insipido, troppo lo  renderà immangiabile. Dopo aver atteso una decina di minuti – durante i quali altro siero sarà fuoriuscito e il sale si sarà sciolto – si può girare il tomino per salarlo dall’altra parte. Dopo un’altra decina di minuti lo si può ulteriormente girare solo per farlo asciugare. Non c’è bisogno di pressare il tomino, anzi è meglio non farlo, altrimenti poi vi sembrerà di masticare una gomma.
Lasciare solidificare in frigo e mangiare entro 2 o 3 giorni.
Tomino in preparazione a riposo

Esistono altri metodi per fare tomini, fra i quali la cagliata lattica. In questo caso bastano 18-25°C, una quantità di caglio 10 volte inferiore, però occorre attendere 24 ore. Il risultato sarà più acido, ma la qualità del tomino sarà superiore, ci dice Loic, che si definisce “un apprendista allevatore alternativo”. Ma il suo apprendistato, in un certo senso, non finirà mai, perché è in una fase di formazione continua. Tuttavia Loic ha già raggiunto molti risultati: è – ad esempio – orgoglioso (giustamente) di aver realizzato da solo la cagliata lattica.

Lui è francese e ci ha detto di aver notato, soprattutto in Francia, che alcune aziende produttrici di formaggi hanno un bel logo con capretta e montagna; poi, se si va a vedere il luogo di produzione si scopre che si trova nella zona industriale a livello del mare……
Gli abbiamo detto che anche in Italia ci sono parecchi esempi del genere ed abbiamo concluso che i consumatori ignorano un po’ di cose fondamentali, ad esempio cosa significhi portare per 7 anni (in estate) 100 capre a 1500 metri di quota, lasciarle libere di pascolare e mangiare e poi doverle recuperare tutte ogni sera, ovunque siano andate a finire.

Walter Caputo e Luigina Pugno
Food Science Writer

domenica 3 giugno 2018

UNTI E BISUNTI: STREET FOOD D'AUTORE

Gli chef sanno scrivere? E' importante che sappiano cucinare e dirigere, direte voi. Ed io sono d'accordo. Tuttavia molti chef scrivono libri e quindi dovrebbero saper scrivere. Spesso i loro libri non sono altro che ricettari e non hanno quindi alcun valore letterario. Ma esistono anche delle eccezioni.

Il libro: "Unti e bisunti - viaggio nell'Italia dello street food", scritto da Chef Rubio e pubblicato da Sperling & Kupfer  è proprio una piacevole sorpresa nel panorama di settore. Innanzitutto si legge molto velocemente: una volta iniziato è difficile smettere. Tutt'al più ci metterete due o tre giorni. Poi è molto divertente ed anche piuttosto "grezzo": per queste caratteristiche assomiglia ai romanzi di Charles Bukowski (e persino alle sue poesie). A tal proposito, la scrittura è costituita da brevi periodi; insomma l'autore va a capo molto spesso, cosicché è a tratti poetica e comunque sempre sintetica. E' difficile raccontare con meno parole rispetto a quelle usate da Chef Rubio. Ed è proprio questo tipo di scrittura che fa sì che il testo sia particolare e letterariamente convincente.

Passiamo ora dalla forma alla sostanza: in cosa consiste il contenuto del libro? Quali obiettivi si propone l'autore? Innanzitutto il libro è un viaggio per l'Italia alla scoperta dello street food. Contiene quindi indicazioni geografiche, sapori, emozioni ad anche ricette. E' una sorta di diario ben scritto, ovvero scritto per gli altri e non per se stessi. Anche sulla base di immagini (a colori e in bianco e nero) l'autore fa un viaggio nelle tradizioni del cibo di strada a basso costo. Ed ecco apparire quindi l'obiettivo del libro: ci siamo stufati degli chef (più o meno stellati) che fanno piatti sofisticatissimi, piccolissimi e costosissimi. Vogliamo tornare ad assaporare i fritti (ma ben fatti), i sapori forti e i gusti della tradizione. E allora via con il panino con il lampredotto, il fritto di paranza, la frittata di pasta, la cicerchiata, la coratella in agrodolce...

Voglio concludere con un aneddoto personale. Sono da poco tornato dal Canada e l'ultimo giorno non volevo entrare in un ristorante giapponese del tipo "all you can eat". Mia moglie mi ha persuaso, ed invece di mangiare sushi ho preferito ali di pollo fritte con il miele. Non le avevo mai mangiate cucinate in quel modo; ho cominciato con quattro e poi ne ho prese altre quattro.... Mi sono imposto di smettere, altrimenti avrei continuato con la tabellina del quattro... però sono passato alla tabellina del due... con le banane fritte!!!

Walter Caputo
Food science writer

venerdì 18 maggio 2018

CROCIATE ALIMENTARI SCIENTIFICAMENTE INSOSTENIBILI

Negli ultimi tempi abbiamo assistito a molte "crociate alimentari": in buona sostanza, in seguito alla diffusione di informazioni scientificamente inattendibili, le persone polarizzano le loro opinioni, risultando alla fine pro-crociata o anti-crociata. Le cause sono molte, ma tra le più importanti troviamo la possibilità di pubblicare informazioni senza alcun controllo e i social network, che funzionano come amplificatori in grado di manipolare e polarizzare le opinioni su un determinato alimento.

Per tornare a capire, ragionare e valutare gli alimenti in modo più equilibrato - perché non esiste  solo il buono o il cattivo, il bianco o il nero, ciò che fa bene e ciò che fa male - dobbiamo consultare fonti attendibili, scientificamente validate e scritte da esperti che hanno i titoli specifici e l'esperienza necessaria per farlo. Un esempio è "Saper scegliere gli alimenti - Leggere le etichette per fare la spesa ed andare a cena fuori con qualche certezza in più", scritto dalla Dott.ssa Serena Pironi (Tecnologo Alimentare) e pubblicato dalla EPC. E, vi garantisco, che informarsi in maniera corretta non richiede necessariamente le lettura di tomi ponderosi e costosi, tempi lunghi o una formazione adeguata. La dimostrazione è proprio il libro in questione: costa solo 10 euro, è composto da poco più di 100 pagine, è chiaro, si legge velocemente ed è adatto a tutti.

Facciamo quindi qualche esempio. Molti considerano i prodotti DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Tipica) più  buoni degli altri e quindi più costosi. Non è così: non sono più buoni dal punto di vista sensoriale, sono soltanto fatti secondo un certo disciplinare, in una certa zona o - nel caso degli IGP - solo una fase viene realizzata in una certa zona. Il costo è collegato soprattutto alla certificazione: ci sono i consorzi, ci sono enti che verificano il rispetto del disciplinare, esiste una sorta di "brevetto" (per cui i nomi non sono imitabili ed attribuibili ad altri prodotti). Tutti questi costi sono a carico del produttore e quest'ultimo li trasferisce sul consumatore, il quale paga di più rispetto ad altri prodotti. Peraltro, il sistema in questione non è assolutamente infallibile, come dimostra la recentissima frode sul prosciutto di Parma e sul San Daniele.

Prendiamo i prodotti biodinamici. Si basano su questa filosofia: "L'azienda agricola che abbraccia tale principio è ritenuta un organismo vivente a ciclo chiuso influenzato dal più grande organismo vivente cosmico". L'azienda agricola è un organismo vivente? Ma di cosa stiamo parlando? Mi sembra di essere tornato al Medioevo....

Grazie al libro in questione potrete spogliarvi di molte altre credenze. Prendiamone un'altra, che è diffusissima. Si tratta dell'idea che dovremo produrre tutti gli alimenti (o almeno la maggior parte) utilizzando materie prime italiane. E' impossibile, perché non abbiamo quantità sufficienti di materie prime. A tal proposito, Serena Pironi scrive: "Il problema è che dobbiamo essere consapevoli di un aspetto: il nostro paese è un trasformatore e non possiede tutte le materie prime necessarie o in quantità sufficienti rispetto alla richiesta del mercato. L'importante è che, qualora le importi, vi siano i controlli igienico-sanitari necessari e la serietà dei produttori".

Fra le altre cose ne aggiungo ancora qualcuna, innanzitutto sugli agenti lievitanti. Sono "sostanze, o combinazioni di sostanze, che liberano gas e in questo modo aumentano il volume di un impasto o di una pastella". Ovvio, direte voi. Eppure, recentemente, un soggetto su facebook ha affermato che l'agente lievitante è il gas...
Infine, i conservanti, che molti ritengono superflui. E' meglio acquistare un prodotto senza conservanti e senza un sacco di altre cose? Ebbene, i conservanti "prolungano la durata di conservazione degli alimenti proteggendoli dal deterioramento provocato da microrganismi e/o dalla proliferazione di microrganismi patogeni".

Buona lettura a tutti!

P.S.: se vi interessa un altro piccolo libro della stessa autrice e nella stessa collana, potete leggere questo. Se invece volete approfondire gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, vi consiglio quest'altro.

Walter Caputo
Divulgatore Scientifico

martedì 8 maggio 2018

L’OTTICA SCIENTIFICA SUI GRANI ANTICHI E SULLE MODE ALIMENTARI

Sergio Saia (al centro) insieme ad un gruppo di relatori al CNMP 2018
Ho chiesto al Dott. Sergio Saia, che lavora al Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Cereal and Industrial Crops (CREA-CI), alcune spiegazioni scientifiche sul pane. Ne è venuta fuori una lunga intervista, che ho pubblicato a puntate su questo blog (parte 1; parte 2; parte 3; parte 4). Mancava solo più l'ultima parte, quella riguardante i grani antichi e moderni e i loro prezzi. D'altronde, in una situazione in cui molti non capiscono quali decisioni alimentari siano più opportune – è meglio razionalizzare con la scienza che credere a qualunque messaggio pubblicitario. Ecco a voi l'ultima parte dell'intervista.

Parlavamo di grani antichi e moderni. Le mode alimentari hanno colpito anche il pane. Che ne pensi?

Sono favorevole a qualunque ampliamento dell’offerta dei prodotti. Poter scegliere è un lusso che molti tuttora nel mondo non hanno. Tuttavia le mode alimentari vengono quasi sempre condotte avanzando da un lato la superiorità tout court dei prodotti pubblicizzati, ma questa superiorità c’è in certi casi e manca in altri. Dall’altro lato, queste campagne mediatiche vengono quasi sempre condotte tacciando come dannosi o velenosi i prodotti di largo consumo, il che è decisamente falso, visto che “largo consumo” non è sinonimo di “scarsa qualità”.

E dei maggiori prezzi dei prodotti “di moda” cosa ne pensi? Sono giustificati?

Molti detrattori dei prodotti di moda sostengono che tale prezzo maggiorato non sia giustificabile. Io ho un’opinione un po’ diversa. Il prezzo che paghiamo per un prodotto non dipende solo e tanto da quanto costa produrlo, ma anche dalla sua rarità e soprattutto dalla nostra disponibilità a pagarlo. Quindi, in via teorica, dovrei dirti che sono giustificati. Ma non credo che lo siano completamente, in quanto questi prodotti fondano la giustificazione sociale del maggior costo su una bontà presunta e non confermata e solo dopo aver veicolato, mediaticamente, il prodotto come una panacea di tutti i mali (gli stessi mali che, peraltro, vengono attribuiti ai prodotti convenzionali).

Quindi, oltre che falso, questo processo è pernicioso. La stessa strategia mediatica viene utilizzata, per aspetti diversi dal cibo, anche da certe frange politiche in Italia facendo leva sui desideri e sulle paure della popolazione. Allo stesso modo, attualmente, i produttori e soprattutto i venditori di questi prodotti li associano all’antico e l’antico al naturale e sano, e queste sono associazioni false. E al contempo associano i prodotti di largo consumo ai processi produttivi moderni e questi all’innaturale e insano. E anche questa associazione è falsa.

Come sai, abbiamo trattato di aspetti relazionati al pane e in genere all’alimentazione al Convegno Nazionale  di Medicina e Pseudoscienza (CNMP), che si è svolto nel mese di aprile a Roma. Di questi e altri aspetti il gruppo di ricerca in cui lavoro, e anche tanti altri ovviamente, ha trattato in diversi articoli sia in italiano, sia in inglese a diverso taglio, che è possibile trovare a questi link, dai quali è possibile scaricare e leggere i lavori o richiederli gratuitamente:

https://www.researchgate.net/publication/281937122_Focus_sui_grani_antichi_e_la_crescente_disinformazione_sulle_varieta_moderne

https://www.researchgate.net/publication/322991930_Quali_sono_i_fattori_che_rendono_buono_un_pane

https://www.researchgate.net/publication/320491089_Milling_overrides_cultivar_leavening_agent_and_baking_mode_on_chemical_and_rheological_traits_and_sensory_perception_of_durum_wheat_breads

Grazie, Dott. Sergio Saia, arrivederci al prossimo contributo.

Walter Caputo
Divulgatore scientifico

lunedì 23 aprile 2018

SCIENZA IN CUCINA: CONSERVARE, CUOCERE, CONGELARE ED ESSICCARE

Molte cose sul cibo si sono tramandate di padre in figlio. Indicazioni e pratiche di cucina e conservazione dei cibi sono passate da una generazione all'altra. Tutte cose scientificamente corrette? No. E gli standard di sicurezza alimentare? Lasciamo perdere...

Poi, con l'avvento di Internet, l'informazione sul cibo si è frammentata in numerosissimi siti e blog e si è diffusa ad una velocità una volta impensabile. Così c'è chi dice: "E' così. L'ho letto su Internet". Tutto vero? Assolutamente no. 

Viviamo immersi nelle bufale alimentari (o fake news) e spesso non abbiamo un'alfabetizzazione scientifica di base che ci faccia da guida in un mondo sovraccarico di informazioni. EPC Editore ha ideato "Libri in Tasca", una collana ad hoc: piccoli libri molto divulgativi, tascabili ed economici. Sono quindi comprensibili da tutti, non servono dispositivi di lettura (ah, il buon vecchio libro cartaceo!) tranne gli occhi e il cervello, pesano pochissimo rispetto ai vostri pc, smartphone, tablet corredati di caricabatterie ed altri accessori naturalmente indispensabili.

Ma le caratteristiche più importanti sono in realtà altre: la completezza (su argomenti specifici) e le basi scientifiche poste a loro fondamento. Il primo della serie è - appunto - scritto da una tecnologa alimentare, la Dott.ssa Serena Pironi ed è un piccolo, ma prezioso manualetto di scienza in cucina. Si intitola: "Saper conservare i cibi a casa - Come districarsi tra pentole ed attrezzature in cucina, non dimenticando la salubrità degli alimenti" ed è pubblicato, come anzidetto, da EPC Editore.

L'obiettivo del libro è proprio quello di indicare quali "usanze in cucina" hanno una base scientifica e sono idonee secondo gli standard della sicurezza alimentare e quali no. L'autrice - sempre con un linguaggio divulgativo - arriva ad un livello molto operativo e pratico, risolvendo parecchie questioni che molti di voi si sono posti, magari appena tornati dal supermercato, con la spesa da sistemare.
Ciò che si può avere su una mano

Facciamo qualche esempio. Vi ricordate di Nonna Papera che lasciava le torte sul davanzale a raffreddare? Non va bene, ma non perché Ciccio si aggira famelico nelle vicinanze...
E poi le mani, siamo sicuri di lavarcele nel modo corretto per 40/60 secondi? Sapete quanti microrganismi diversi potete ospitare sulle vostre mani?

E sotto a chi tocca: l'olio vi dà sicurezza? Sappiate che l'olio non uccide nessun microrganismo. E nemmeno l'aceto, ostacola soltanto lo sviluppo dei batteri. E a proposito di conserve, conoscete la differenza fra confettura, marmellata e composta di frutta?
Magari usate con molta tranquillità la carta da forno. Ma avete controllato fino a che temperatura può essere usata e per quanto tempo?

Insomma, il libro di Serena Pironi è piccolo, ma è ricco di informazioni. Sta comodo sia in cucina che in salotto. E allora, buona lettura!

Walter Caputo
Divulgatore Scientifico

mercoledì 18 aprile 2018

SCIENZA E LEGALITA' DEGLI ALIMENTI: ACRILAMMIDE, CARBONE VEGETALE E FERMENTAZIONE SPONTANEA

Da sinistra: Simona Lauri, Walter Caputo, Luigina Pugno
Il CNMP 2018 è stata un'occasione imperdibile per vedere come la scienza sia in grado di smontare, una dopo l'altra, le bufale più ricorrenti e più condivise del web. Prendiamo ad esempio la Statistica, che viene percepita da molti come qualcosa di oggettivo, perché i numeri hanno sempre ragione. Ho spiegato che in realtà non è così, in quanto la Statistica non è altro che un insieme di decisioni soggettive e i risultati dipendono da quelle scelte e dai soggetti che prendono quelle decisioni. Così come si pensa alla Psicologia come se fossimo ancora ai tempi di Freud, ebbene, Luigina Pugno, nel suo intervento, ha dimostrato che esistono molte tecniche moderne di psicoterapia breve ed efficace.

Insieme abbiamo anche presentato alcune fake news che affollano il mondo della pizza. Proprio dopo la pubblicazione del libro: "La pizza al microscopio", grazie al blog: "Cibo al microscopio" abbiamo infatti trattato una serie di argomenti, sempre con l'ottica della scienza. Con più di 100 articoli e quasi 2 anni di lavoro abbiamo esaminato molte strane idee, sulla pizza e sull'alimentazione, che - alla prova dei fatti - hanno dimostrato di non possedere alcuna base scientifica.

Ma la vera sorpresa per noi è stata incontrare una persona, fra il pubblico di CNMP 2018, che già da molto tempo si batte per la diffusione della scienza e della legalità nell'ambito della ristorazione. Si tratta della Dott.ssa Simona Lauri, laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari ed iscritta nell'albo dei Tecnologi Alimentari. Simona è una panificatrice artigiana, ma si occupa anche di formazione e consulenza. Ha insegnato Microbiologia e Tecnologia degli alimenti presso la Facoltà di Agraria dell'Università di Torino. Dal 2014 è giornalista pubblicista iscritta all'Ordine dei Giornalisti di Milano. E dal 2015 è direttrice responsabile della testata giornalistica Quotidie Magazine. Ho potuto porre qualche quesito alla Dott.ssa Lauri. Ecco le sue risposte.

Quali battaglie sta conducendo?

Innanzitutto contro la disinformazione e le bufale nel settore alimentare. Il problema talvolta è costituito da una comunicazione commerciale dei prodotti alimentari che viene scambiata per verità scientifica. Ma sappiamo tutti che la scienza è una cosa e il marketing è un'altra.

Ci sono poi anche situazioni che rappresentano delle violazioni della normativa in vigore. Ad esempio coloro che utilizzano il carbone vegetale nel pane, dichiarando una serie di effetti benefici. Si può utilizzare il carbone vegetale come colorante alimentare (e solo nei limiti consentiti dal Reg. CE 1333/08 All. II Parte E) nei prodotti di panetteria fine, ma non nel pane. E non è ammissibile aggiungere nell'etichettatura, presentazione o pubblicità del prodotto alcuna informazione che faccia riferimento agli effetti benefici del carbone vegetale per l’organismo umano, stante il chiaro impiego dello stesso esclusivamente quale additivo colorante.

Mi batto anche contro la teoria dei quattro veleni bianchi, che rappresenta una perfetta bufala, in quanto contiene qualche elemento di verosimiglianza che fa facilmente breccia nella mente dei lettori, privi di una formazione scientifica di base.

Su quali temi sta lavorando attualmente?

Fermo restando che la prima cosa che tutti dobbiamo sostenere con forza è la tutela e la difesa della legalità, perché esistono delle regole, delle normative che devono essere rispettate da tutti gli Operatori del Settore Alimentare, di recente due questioni si sono affacciate nel settore alimentare: l'acrilammide e la fermentazione spontanea.

Sulla base del Reg. UE 2158/17 ci sono una serie di alimenti che possono contenere acrilammide in quantità eccessiva e - dato che si tratta di una sostanza alla quale è associato un possibile incremento di rischio di sviluppare tumori - è opportuno adeguarsi alle regole. Teniamo conto che l'acrilammide va controllata e messa nel piano HACCP e che fra i prodotti più a rischio (oltre alle patatine fritte) c'è il pane e la pizza. Soprattutto la pizza verace napoletana, quella che segue il disciplinare STG, a causa delle elevate temperature che si raggiungono in un forno a legna (oltre 400° C). Sul numero di aprile 2018 di Quotidie Magazine è stato pubblicato un ampio articolo sul tema.

Parliamo allora di fermentazione spontanea...

Diciamo subito che si tratta di una cosa diversa rispetto al caso della pasta madre. La fermentazione spontanea scaturisce dalla macerazione di uva, mele o vegetali in acqua e zucchero. Qui ci sono due problemi: innanzitutto il fatto che alcuni affermano che non ci sarebbero lieviti. E ciò è falso, lo sanno tutti che - ad esempio - sulla buccia dell'acino d'uva ci sono i lieviti.

Ne ho parlato anch'io nel libro: "La pizza al microscopio". Uno degli esperimenti che può svolgere facilmente il lettore è proprio estrarre il lievito dall'uva... Mi scusi se l'ho interrotta, continui pure.

Dicevo appunto che i lieviti ci sono , eccome, solo che il claim "senza lievito" attrae particolarmente i consumatori....
Ma, sulla fermentazione spontanea, c'è una questione ancora più importante. C'è chi dice che è sicura. Non è possibile. E' un'affermazione falsa. E' semplicemente un nuovo cavallo di battaglia del marketing che, dopo il ritorno alla natura e alle cose spontanee, cavalca la falsità del "senza lievito", inserendosi nella comunicazione dei "senza". In questo caso, appunto, si devia l'attenzione del consumatore da ciò che c'è nel prodotto per spingerlo solo a pensare a ciò che non c'è.

Walter Caputo
Divulgatore Scientifico



martedì 10 aprile 2018

ALLERGIE E INTOLLERANZE ALIMENTARI: COSA DICE LA SCIENZA?

"Sempre più spesso capita di sentir parlare di allergie alimentari o di intolleranze a questo o a quel cibo o gruppo di alimenti. Frequentemente le informazioni di cui disponiamo non sono del tutto corrette e risultano confuse tra loro". Queste sono le prime righe del libro: "I nemici del cibo - Esistono davvero le intolleranze alimentari", scritto da Erica Repaci e appena pubblicato da C1V Edizioni.

Ho incontrato Erica al CNMP 2018 e le ho posto alcune domande. D'altronde il tema è di interesse generale, esistono test inattendibili ma venduti a caro prezzo e le persone - che spesso confondono allergie e intolleranze - hanno bisogno di un'informazione che sia fornita dalla scienza. Ecco quindi un lavoro fatto da una biologa specializzata in Scienze dell'Alimentazione, leggendo il quale potremo scoprire che alcune intolleranze (non tutte!) che riteniamo esistenti, in realtà non lo sono e certi test non hanno alcuna base scientifica, né fondamenti in termini di sperimentazioni in grado di validare determinate procedure.

Come si diventa allergici a qualche alimento?

Innanzitutto esiste una componente genetica, nel senso che se una certa allergia è presente in famiglia, si ha una maggiore probabilità di svilupparla. Ma intendiamoci bene, maggiore probabilità non significa certezza.
Si può diventare allergici anche in assenza di una componente genetica. Ciò può capitare (ma non necessariamente capita) quando il nostro sistema immunitario reagisce in modo abnorme nel momento in cui viene a contatto con una certa sostanza. A quel punto il sistema immunitario è sensibilizzato, quindi la reazione allergica si ripeterà ogni volta che il soggetto entrerà in contatto con quella sostanza. L'allergia in questione può assumere diverse forme di gravità: da semplici disturbi intestinali o eczemi fino allo shock anafilattico.

Se un soggetto sospetta di essere allergico a qualche sostanza contenuta in qualche alimento cosa deve fare?

Deve innanzitutto accertarsene. E il modo migliore per farlo è eseguire il Prick test. Il medico mette una goccia dell'estratto allergenico da testare sulla cute del paziente e poi pizzica la cute con una lancetta sterile. Dopo circa 20 minuti si verifica la reazione, che normalmente è visibile tramite un ponfo, cioè un rigonfiamento della zona interessata. Il Prick test è sensibile, specifico, facile da eseguire, costa poco e fornisce risultati immediati.
Erica Repaci al CNMP2018

Il termine "raffinato" ha assunto una connotazione negativa mentre "spremuto a freddo" suona bene alle orecchie delle persone. Ho letto, sul suo libro, una cosa molto interessante, inerente l'olio di arachidi. Può spiegare meglio?

Sì, certo. Si tratta di una situazione in cui occorre far chiarezza: "raffinato" significa semplicemente che il prodotto ha subito una fase di lavorazione. Nella maggior parte degli oli di arachidi non vi sono allergeni, in quanto le proteine vengono rimosse tramite la raffinazione. Al contrario, l'olio di arachidi spremuto a freddo - ritenuto naturale e quindi buono - può in realtà causare allergia, in quanto gli allergeni non sono stati tolti.

Cosa può dirci sulle pseudointolleranze alimentari?

Ad esempio, il soggetto afferma di essere allergico ad un intero alimento, ma ciò non è possibile. Non è nemmeno possibile essere allergici ad un'intera categoria di alimenti. Queste errate convinzioni derivano da test scientificamente inattendibili, che non sono in grado di rilevare il singolo componente o la molecola. E ricordiamo che un soggetto allergico non tollera un singolo componente presente nell'alimento (non l'intero alimento).

Grazie per l'intervista!

Walter Caputo
Divulgatore scientifico
Al CNMP 2018 ha presentato due relazioni ("Quando i numeri non raccontano la realtà" e "La pizza al microscopio" con Luigina Pugno).








mercoledì 28 marzo 2018

LA SCIENZA DEL PANE: AGENTI LIEVITANTI E COTTURA

Grazie al Dott. Sergio Saia, che lavora al Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Cereal and Industrial Crops (CREA-CI), continuiamo a scoprire la scienza del pane. Dopo la prima puntata, sul sapore del pane, la seconda, sulle proteine e sulla macinazione e la terza, sulle farine prendiamo in considerazione gli agenti lievitanti e la cottura.

E degli agenti lievitanti cosa mi dici? Qual è il migliore per avere un buon pane?

Se parliamo di quelli “vivi”, scopriamo un mondo. Possono essere sia funghi (i lieviti) o batteri (es. quelli contenuti nelle paste madri) o anche mescole. E all'interno di ciascuno di questi gruppi troviamo diverse “varianti” (specie, ceppi, etc.). Ovviamente, gli esseri viventi hanno un'attività che dipende da tante condizioni, perfino dalla temperatura di partenza. Come per ogni risposta che ti ho dato, il migliore non esiste.

Ma esistono agenti che in date condizioni forniscono pani migliori, ma in altre forniscono pani peggiori. Le paste madri, ad esempio, sono considerate migliori, ma la capacità dei batteri di aggredire l’impasto e trasformarlo (la lievitazione comporta molti cambiamenti chimici e fisici) è spesso inferiore rispetto a quella dei lieviti e quindi una pasta madre può richiedere più tempo per esprimere le sue potenzialità in fatto di sapore e, paradossalmente, se questo tempo di lievitazione non viene concesso, il pane può risultare peggiore rispetto a quello ottenuto con lievito di birra.
E, quindi, dobbiamo assicurarci che l’impasto del pane sia stato lievitato per molto tempo se lievitato con pasta madre?

Bè, si e no. Da un canto è molto improbabile che un pane fatto con pasta madre venga lievitato per poco tempo, se non altro perché assumerebbe una forma poco rotonda. La lievitazione comporta pur sempre un aumento di volume del pane. Dall'altro, il tipo di lievito usato può anche comportare pochi effetti sul pane in funzione di altre variabili della panificazione.

Ad esempio quali?

Sono tantissime. Considera che in queste risposte ho tralasciato moltissimi aspetti che sono molto importanti, come temperatura dell’impasto, tempi e temperature della fase di impastamento, rapporti tra gli ingredienti, tipologia di sale utilizzato, la cottura, etc.

Ecco, si fa tanto parlare di forno a legna. È veramente migliore?

Bè, sai, in fase di cottura la cosa importante non è di per sé la tipologia del forno, ma le condizioni di cottura del pane. Se un forno a legna e uno a gas mettono il pane nelle stesse condizioni, non c’è ragione di pensare che la cottura possa influenzare il sapore del pane. Ma nella realtà, i vari tipi di forno (anche due forni a gas diversi tra di loro) mettono il pane in condizioni notevolmente diverse di temperatura, umidità, ventilazione, etc. Alcuni forni a legna, inoltre, hanno il fumo della legna non separato dal pane e quindi questo può assumere sapori e odori che dipendono anche dal fumo e dalla tipologia di legna impiegata.

E non dimentichiamo mai i tempi di cottura in relazione alla forma e dimensione del pane. Pani molto grossi hanno problemi a cuocere nella parte centrale, ma non possono essere cotti subito a temperature elevate altrimenti il disseccamento rapido della parte esterna potrebbe influenzare lo stato della parte centrale. Molti trovano il pane cotto a legna migliore rispetto a quello cotto a gas, ma ribadisco che tale maggiore bontà dipende dalle condizioni di cottura, non dalla tipologia del forno. E nelle nostre prove non abbiamo trovato una grande influenza del tipo di cottura sul sapore del pane.

Ma quindi, cosa è più importante nel determinare il sapore del pane?

Da un recente lavoro che abbiamo condotto a Foggia, presso il Consiglio per la ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, dove attualmente lavoro, è emerso che la macinazione è il fattore più importante. Ciò dipende dal fatto che il tenore in fibre (che, come dicevo, dipende dalla macinazione e successivo setacciamento) influenza in modo notevole ogni aspetto del pane; dalla sua consistenza alla capacità degli agenti lievitanti di trasformarlo, dalla sua percezione al morso, al suo colore, etc.

Non perdete la quinta ed ultima puntata, che verrà pubblicata sul numero di aprile 2018 del mensile "Ristorazione Italiana Magazine"!

Walter Caputo
Con Sergio Saia, Luigina Pugno e molti altri, relatore al CNMP 2018 dal 6 all'8 aprile a Roma


giovedì 22 marzo 2018

LA SCIENZA DEL PANE: FARINE INTEGRALI O FARINE RAFFINATE?

Dott. Sergio Saia
Grazie al Dott. Sergio Saia, che lavora al Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Cereal and Industrial Crops (CREA-CI), continuiamo a scoprire la scienza del pane. Dopo la prima puntata, sul sapore del pane e la seconda, sulle proteine e sulla macinazione, prendiamo in considerazione le farine: è meglio usare quelle integrali o quelle raffinate?

Ma quindi è più buono il pane fatto con farine integrali o con farine raffinate?

Difficile da dire realmente e non perché non ci siano prove a riguardo. Attualmente è chiaro che il pane con farine raffinate venga gradito di più di quello integrale e questo è confermato sia da prove sperimentali, sia da prove con utenti comuni e sia, permettimi, anche dai volumi di vendita di ciascuna di queste due categorie. Su quest’ultimo aspetto mi riservo di poter dire di più in seguito, se non altro perché la società attuale ci “educa” ad un certo tipo di alimenti, ma nel caso del pane da farine integrali o meno, non c’è un grande effetto dell’industria o della G.D.O. come invece succede per altri prodotti freschi (es. le banane, di cui disconosciamo o quasi il vero sapore).

Certo è che il pane integrale ha profumi e sapori che quello di farine raffinate non ha, ma questi non sono opportunamente migliori. Inoltre, un pane integrale di una varietà moderna somiglia moltissimo a uno integrale di una varietà antica per molti aspetti. E lo stesso succede quando le farine sono raffinate. Purtroppo, spesso, viene fatto passare il messaggio che un pane integrale di grani antichi sia migliore di uno da farina raffinata da grani moderni per via del genotipo, mentre è la raffinazione della farina a determinare le differenze.

Ne riparliamo magari in seguito. E avuta la farina o la semola con il suo grado di fibre, proteine, amidi, etc.?

Una volta avuti farina o semola (o mescole) con date caratteristiche, si deve impastare. E l’impasto è uno zibaldone molto complesso. I rapporti tra acqua, sfarinato, sale e agente lievitante e altri eventuali cofattori possono influenzare molto la struttura stessa dell’impasto, prima ancora che inizi il processo di lievitazione. E ciascuno di questi componenti può variare come tipologia, oltre che come quantità. E dalla struttura dell’impasto dipende la lievitazione stessa.

Ma cosa sono questi cofattori di cui parli?

Additivi che influenzano caratteristiche ben precise dell’impasto o l’attività dell’agente lievitante. Uno per tutti, la vitamina C che influenza sia il glutine, sia l’attività degli agenti lievitanti. D’altro canto, gli agenti lievitanti sono (quasi) sempre esseri viventi. E qualora si tratti di composti chimici, oltre ad essere a tutti gli effetti dei cofattori, sono influenzati da qualunque cosa stia nell’impasto.

Non perdete la quarta puntata de: "La scienza del pane" che verrà pubblicata sempre qui, su "Cibo al microscopio"!
E poi, al CNMP 2018, non perdete la giornata dell'8 aprile, perché si parlerà delle "tre P": pane, pizza e pasta. E ci sarà anche un intervento degli autori de: "La pizza al microscopio". A presto, ci vediamo a Roma!

Food Science Writer


venerdì 16 marzo 2018

LENTICCHIE ALLA JULIENNE


Alain Tonné non è un uomo comune, è un uomo dall'abbronzatura illegale, capace di emettere rutti biodegradabili.
Alain Tonné non è solo uno chef, è lo chef più bravo al mondo. Mentre gli altri pensano a banali abbinamenti gastronomici, lui sferifica occhi di bue e per la precisione, non uova all'occhio di bue, ma veri occhi di bue. Maneggia la chimica e le sue sostanze come nessuno e grazie ad esse riesce a superare i limiti culinari. Non mi credete? Leggete qui. Alain prepara per la cena di rimpatriata coi compagni di scuola le Praline di consommé in tempura e "Al suo apparire scoppiò l'applauso. Lui era la star, quello che ce l'aveva fatta, l'unico con un dossier a suo nome negli uffici della guardia di finanza".

Tutti abbiamo visto in tv gli chef più o meno stellati, su uno o diversi canali e vedendoli spesso in tv ci siamo chiesti: "cosa fa davvero uno chef di lavoro?", "ma nel suo ristorante ci andrà qualche volta?".
Nel libro di Antonio Albanese "Lenticchie alla julienne", edito da Feltrinelli, ci sono le risposte.
Non è solo un libro di risposte, è anche un libro che svela i retroscena degli ingaggi a molti zeri e dei concorsi per professionisti. Ingaggi complicati, idee culinarie che superano i limiti della fisica, della chimica e della commestibilità, e concorsi che manderebbero in ansia il più serafico dei meditatori tibetani sono descritti da Albanese con tutta la sua comicità, a volte anch'essa spinta vicino al limite dell'assurdo. Alain Tonné ce la fa sempre, supera tutto e resiste a tutto, anche all'ironia pungente di Albanese. Sarà per questo che gli ha regalato la sua storia e la sua ricetta su un molo di Marsiglia?

Ah giusto, dimenticavo, in questo libro non mancano le ricette, che finalmente mi danno ragione: le preparazioni delle riviste richiedono sempre un ingrediente introvabile, ma non per Alain Tonné, e per questo, lui è il più grande!

Luigina Pugno