sabato 29 aprile 2017

COME FARE LA PIZZA A CASA: AUTOLISI ED IMPASTO

Nel primo articolo di questa serie sulla pizza da fare a casa, Thomas Violi ci ha spiegato ciò che dobbiamo procurarci prima di cominciare a lavorare sul nostro prodotto.

In questo secondo articolo ci spiega invece le prime due fasi da realizzare: autolisi e impasto. Presto, su questo blog, verranno pubblicate le puntate successive fino alla conclusione della ricetta.


FASE I - AUTOLISI


La prima cosa da fare quando si lavora un impasto è quella di calcolare la corretta temperatura dell'acqua seguendo le indicazioni della seguente tabella.


Successivamente setacciate la farina, inseritela in una bastardella capiente con l'acqua (pari al 55% del peso della farina) ed impastate inizialmente con un mestolo e poi a mano finché tutta la farina risulterà idratata. Alla fine di questo breve impasto, il composto dovrà risultare grumoso e non liscio ed uniforme. Se eccedete con la miscelazione, la successiva fase di impasto potrebbe risultare più complicata.

Lasciate riposare l'impasto coperto da pellicola per circa 30 minuti (autolisi). Con questa procedura, otterrete una maggiore estensibilità del prodotto finale e ridurrete i tempi di impastamento della prossima fase.

FASE II - IMPASTO


Preparate in anticipo la vostra linea e terminata l'autolisi sciogliete il lievito nell'acqua e versate il tutto sul composto autolitico, aggiungendo anche metà dell'olio. Per pesare il lievito di birra compresso (fresco), che ho indicato con precisione del decimo di grammo, sarebbe utile avere una bilancia a cucchiaio diffusissima tra gli amanti della pasticceria. Nel caso però non l'abbiate, vi potrebbe tornare utile la seguente immagine.


Iniziate ad impastare con il mestolo e successivamente a mano. Quando l'impasto risulterà abbastanza compatto (3-4 minuti) inserite il sale e successivamente, a più riprese, l'olio mancante. La fase di impasto terminerà quando il composto sarà sodo, non appiccicoso e con una temperatura intorno ai 24-25 °C. Complessivamente dovreste metterci circa 10-15 minuti. Ecco un video, in cui vi spiego - passo per passo - come procedere con l'impasto.


NOTA: Alcuni preferiscono impastare sul piano da lavoro, ma io trovo più pratico farlo all'interno della bastardella per mantenere una maggior pulizia.

Ecco la terza puntata: pieghe, puntata in massa e staglio.
Ed ecco l'ultima.

Thomas Violi
Appassionato di pizza
Recensore de "La pizza al microscopio"

mercoledì 26 aprile 2017

PIZZA BUONA FATTA IN CASA: COSA OCCORRE?


Ciao a tutti, mi chiamo Thomas Violi e sono un ingegnere civile appassionato dell'arte bianca ed in particolar modo della pizza. Come sarà successo a molti, ho iniziato a mettere le mani in pasta grazie alle ricette di famiglia, poi però la voglia di migliorare ha preso il sopravvento spingendomi a provare nuove tecniche e nuove ricette. Negli anni ho annotato quasi tutte le mie prove, studiato diversi testi, seguito alcuni corsi e, da circa un anno e mezzo, condivido i miei esperimenti in un blog che ho chiamato ing.pizza.

Su richiesta di Walter Caputo (cofondatore del blog che state leggendo) descrivo a puntate la mia ricetta per la pizza tonda fatta in casa, buona e semplice da realizzare. L'impasto che vi spiegherò prevede un contenuto ridotto di lievito di birra e diverse ore di maturazione in frigo, passaggio essenziale per ottenere una naturale digeribilità dell'impasto. Infatti, a differenza di quanto mi dicevano da piccolo - se usato sapientemente - il freddo non rovina gli impasti, ma anzi offre i seguenti vantaggi:

- organizzazione: possiamo impastare uno o anche più giorni prima (a seconda della ricetta) della pizzata e, senza particolari problematiche, l'impasto ci aspetterà non preoccupandosi di nostri eventuali ritardi;
- maturazione: le basse temperature (+1 / +4°C) producono un arresto quasi totale della lievitazione, lasciando però continuare la maturazione, intesa come il processo nel quale gli enzimi disgregano gli elementi più complessi in elementi più semplici, migliorando sia le proprietà sensoriali che la digeribilità del prodotto finale.

LA LISTA DELLA SPESA

Come potete vedere dalla lista degli ingredienti, quello che vi propongo non è il classico impasto verace napoletano, poco idoneo all'utilizzo casalingo. Infatti la cottura prolungata (video), dovuta alla scarsa temperatura raggiunta dai forni domestici, porterebbe inevitabilmente alla biscottatura del disco. Vi ricordo infatti che da disciplinare, la pizza napoletana andrebbe cotta in 60-90 secondi ad una temperatura abbondantemente superiore ai 400 °C, impensabile in casa. Per compensare l'allungamento dei tempi di cottura, si prevede un maggior quantitativo di acqua nell’impasto (circa il 64% di idratazione), che rimarrà così più morbido e, al contempo, più facile da stendere.

Le caratteristiche principali della farina dovrebbero essere le seguenti:
- forza media: W=260-300
- rapporto tra tenacità ed estensibilità: P/L=0,5-0,6

Dato che questi valori non sono sempre facilmente reperibili sulle confezioni degli sfarinati, un’ulteriore indicazione utile, anche se meno precisa, è quella relativa al contenuto di proteine, che dovrà essere pari al 12-13% per le farine di tipo 0 o 00 e del 12-13,5% per quelle di tipo 1 e 2. In questa ricetta sconsiglio l’uso di sfarinati completamente integrali perché richiederebbero una procedura differente, preferibilmente indiretta, al fine di inibire gli antinutrienti presenti nella crusca.

Ecco la seconda puntata: autolisi ed impasto.
E questa è la terza: pieghe, puntata in massa e staglio.
Ed ecco l'ultima.
Buon appetito!

Thomas Violi
Appassionato di pizza
Recensore de "La pizza al microscopio"

giovedì 20 aprile 2017

"PIZZA CANOTTO" E' UN MARCHIO IN ATTESA DI REGISTRAZIONE

Carlo Sammarco e la pizza canotto
Da sempre il cornicione della pizza divide le persone. Ci sono quelli che lo lasciano nel piatto dicendo: "Io la crosta non la mangio!" e ci sono altri - che hanno letto "La pizza al microscopio" e non ne lasciano neanche una briciola, perché sanno che il cornicione è un concentrato di antiossidanti. I produttori di pizze surgelate non possono far gonfiar troppo il bordo perché altrimenti non ci starebbe nella confezione, oppure la confezione diventerebbe troppo voluminosa (e costosa). Inoltre i maggiori consumatori di pizze surgelate sono stranieri e - spesso - loro preferiscono un cornicione minimalista. Ci sono molti - soprattutto fra gli italiani - che accusano il cornicione quando è troppo sbruciacchiato e (un po') pericoloso.

Una cosa è certa: un bel cornicione voluminoso è sempre stato il segno distintivo della pizza che segue la tradizione napoletana. Sì, ma quanto deve essere alto? Per questioni di questo genere esiste il disciplinare della pizza napoletana che è stato recepito dalla legislazione europea quando la pizza napoletana è diventata S.T.G., ovvero Specialità Tradizionale Garantita. Ma, si sa, i giovani pizzaioli sono innovatori e - per quanto legati alla tradizione - puntano a sperimentare, poiché vogliono riuscire a produrre qualcosa di originale.

Prendiamo ad esempio Carlo Sammarco, che già a 12 anni stava dietro il bancone del ristorante-pizzeria del nonno. Quando si è piccoli magari si gioca e semplicemente si osserva cosa fanno i grandi, ma è così che nascono le passioni più genuine. Ed è questo il caso di Carlo che, a 16 anni lascia il locale di famiglia e va a fare esperienze a Napoli. Impara molte cose, ma non gli bastano. E così, a 20 anni comincia a studiare panificazione.

Oggi Carlo è famoso per la pizza canotto, ovvero "una pizza con un impasto altamente idratato, frutto del mio lavoro e studio sulla panificazione e sulle  farine. Il risultato è un cornicione pronunciato, gustoso, scioglievole ed altamente digeribile". Questo è parte di ciò che mi ha detto, per un'intervista di "Cibo al microscopio", affermando che la pizza canotto rappresenta il suo ideale di pizza.

E proprio la pizza canotto, di cui si parla già da molto tempo, nelle ultime settimane è al centro di discussioni inerenti la registrazione del marchio. C'è chi afferma che, ormai, "pizza canotto" è un marchio registrato e - di conseguenza - nessun altro può più fare quel tipo di pizza per i propri clienti.

E' vero che il marchio è un segno usato per distinguere i propri prodotti da quelli della concorrenza, questo lo sanno tutti, ma il marchio "pizza canotto" non è ancora stato registrato. La domanda di registrazione è stata depositata il 7 aprile 2017 e la tutela del marchio decorre già dalla data di deposito,  ma per la registrazione bisognerà aspettare circa 9 mesi. Verranno verificati una serie di requisiti previsti dal D.lgs. n. 30/2005 e, se la verifica avrà esito positivo il marchio diventerà effettivamente registrato. E si potrà anche utilizzare il simbolo "R" all'interno della circonferenza.

Un'altra immagine di Carlo Sammarco e il maxi cornicione, detto "canotto"

Ho chiesto a Carlo Sammarco perché ha depositato la domanda di registrazione del marchio "pizza canotto", visto che la protezione di un marchio si può ottenere semplicemente con l'uso. "Ho deciso di registrarlo perché credo sia giunto il momento in cui questa denominazione debba ricevere l'importanza che merita" ha risposto Carlo.
Dobbiamo tuttavia rilevare che gli altri pizzaioli possono stare tranquilli, nel senso che non potranno chiamarla "pizza canotto", ma magari la definiranno "pizza gommone" o "pizza super cornicione". In questo modo anche loro potranno continuare a produrre pizze con cornicione voluminoso. Infatti il marchio è solo un segno notorio, non prescrive caratteristiche tecniche che impediscono agli altri di produrre qualcosa. Il marchio è un nome - "pizza canotto" è un marchio denominativo, che non comprende ne' simboli ne' immagini - e il marchio diventa "potente" nella misura in cui chi lo registra effettua notevoli investimenti in comunicazione. A maggior ragione per un marchio denominativo, che risulta poco distintivo se non è associato ad un simbolo.

Cosa possiamo aspettarci quindi per il futuro? Carlo dice che la domanda di registrazione del marchio "pizza canotto" rappresenta "un gesto per difendere la nostra categoria da inutili attacchi". E la sua intenzione pare piuttosto chiara quando afferma che ciò che desidera fortemente è "far conoscere a tantissime persone il nostro ideale di pizza". Infine Carlo cosa dice ai colleghi pizzaioli? "Questo vuole essere solo il punto di partenza per costruire qualcosa di bello e concreto con le persone che vogliono intraprendere questo tipo di percorso su questo modo di vivere la Pizza". Infine aggiunge: "E spero che in futuro il marchio pizza canotto possa diventare una denominazione formativa per molti pizzaioli".

Walter Caputo
Coautore del libro "La pizza al microscopio"
Formatore nel controllo di gestione

















L'ANTICA SALINETTA DI COMACCHIO RICOMINCERA' A PRODURRE SALE

Il centro delle Saline
Forse non tutti sanno che le Saline di Comacchio sono state operative fino al 1984. Poi sono diventate il sito di nidificazione del fenicottero rosa del Mediterraneo. Le saline sono state disegnate dai francesi e dal XVIII secolo sono rimaste praticamente immutate. La loro chiusura è da ricondursi alla posizione geografica: localizzate troppo a nord, producevano sale di scarsa qualità a causa delle piogge eccessive. Quel sale veniva usato solo più per sghiacciare le strade durante l'inverno e non per fini alimentari.

La stessa sorte toccò alle saline di Cervia, localizzate circa 70 Km più a sud. Ma poi, nel sale di Cervia vennero ritrovate qualità caratteristiche e così venne nuovamente rilanciato e ben commercializzato. Eppure quel sale non è diverso da quello di Comacchio, ma pare che anche il Comune di Comacchio ci stia ripensando.

La notizia recentissima è che - da quest'anno - la salinetta di Comacchio, ovvero una porzione di 4 ettari all'interno delle antiche saline, riprenderà a produrre sale. Inizialmente la produzione verrà destinata ai turisti, ma poi - forse - troveremo il sale di Comacchio nei negozi.
La vecchia centrale elettrica nel centro delle
Saline di Comacchio

Le vasche vuote sono pronte, bisognerà soltanto riempirle d'acqua di mare ed attendere l'evaporazione. Chissà se si tornerà ai vecchi tempi, quando il centro delle Saline assomigliava al centro di una piccola città, con una ferrovia su cui si muoveva un trenino, la centrale elettrica a carbone e i locali di manutenzione...

Walter Caputo

martedì 11 aprile 2017

COME SI RENDE UNA PIZZA PIU' DIGERIBILE? INTERVISTA A MARIO CIPRIANO

Mario Cipriano - 3 spicchi Gambero Rosso
I redattori di Cibo al microscopio sono molto curiosi. Hanno deciso quindi di porre alcune domande a Mario Cipriano - pizzaiolo con tre spicchi del Gambero Rosso - su alcuni temi che risultano piuttosto importanti per molti lettori di questo blog.


Il mondo della pizza è in continuo fermento. Si susseguono spinte verso l’innovazione e improvvisi ritorni alla tradizione. Ma cosa desidera oggi il cliente che entra in pizzeria?


È vero: oggi il cliente cerca prima di tutto un buon prodotto, fatto con ingredienti di prima qualità perché la pizza è diventata a tutti gli effetti un pasto completo. E se agli ingredienti scelti aggiungiamo un buon impasto, che sia salutare e maturo e abbia un basso contenuto proteico è ancora meglio. Spesso però il cliente non trova ciò che cerca: sta a noi addetti ai lavori cercare di soddisfare le esigenze del cliente, innovando ma rispettando anche la tradizione.

Una delle questioni primarie è il lievito. Su questo blog abbiamo già trattato dell’intolleranza al lievito, che in realtà non esiste. Le chiedo quindi: il lievito fa male? Perché alcuni pizzaioli tendono a fare lunghissime maturazioni in frigo e a ridurre drasticamente il quantitativo di lievito nell’impasto?

Assolutamente no, non esiste intolleranza al lievito, anzi il lievito fa bene a tal punto che - in certe diete - viene consigliato di aggiungerlo allo yogurt. Anche perché chi sostiene di star bene mangiando solo prodotti con il lievito madre, in realtà non sa che anche nel lievito madre è contenuto il saccharomyces cerevisiae. Quindi i problemi di gonfiore o pesantezza vanno cercati altrove. La nuova tendenza è quella di mantenere l'impasto per il maggior numero di ore possibile, e con meno lievito. Lo scopo? Inutile dal mio punto di vista, si tratta solo di una perdita di tempo. Si finisce per lavorare il triplo ed occorre anche sperare che non succeda niente che rovini l'impasto. Perché quindi utilizzare poco lievito e portare l'impasto a 72/90 ore? E' consigliabile usare il lievito nella giusta quantità, con una maturazione a 24/36 ore. In questo modo l'impasto sarà facilmente digeribile, a patto che vangano utilizzate farine a basso contenuto proteico.

C’è poi una questione che per molti è collegata al lievito. Come si può rendere una pizza più digeribile? E’ solo una questione di lievito oppure c’è qualcos’altro da considerare?

Il lievito è solo uno degli oltre 300 microprocessi che avvengono nell'impasto. Lievitazione e
maturazione sono quelli più importanti, la prima avviene in maniera più veloce e quindi abbiamo bisogno di una temperatura controllata (frigo) per permettere alla maturazione di fare il suo corso. Infatti il motivo per cui una persona non digerisce è perché spesso - nell'impasto - vengono usate farine con un contenuto proteico molto elevato. Peraltro, circa l'80% delle proteine del frumento è costituito da gliadine e glutenine, che - insieme - formano quel complesso proteico viscoelastico chiamato glutine. Con una farina forte si ha a disposizione una maggior quantità di proteine e quindi anche una maggior quantità di glutine. Ad es. una farina con una forza W pari a 300/310 ha circa il 13% di proteine, mentre - all'estremo opposto - una farina con W pari a 90/130 arriva al 9/10,5% di contenuto proteico. Più proteine equivalgono ad una maggior quantità di glutine e più glutine serve a lavorare meglio l'impasto, ma eccedere nel contenuto proteico significa anche rallentare la digestione. In quest'ultimo caso si rischia una maturazione all'interno del nostro corpo con sintomi di pesantezza e sete.

Passiamo quindi agli impasti. Alcuni propongono impasti integrali o comunque derivanti da un mix di farine, cosiddetti – appunto – multicereali. Perché farlo? Esistono effettivi benefici per il cliente oppure si tratta solo di marketing? 

Il cliente è in cerca di impasti alternativi, ma non sa esattamente se questi presentano benefici
oppure no. Ad esempio, è molto richiesto l'impasto integrale perché è ricco di fibra, però talvolta il cliente non sa che la farina integrale può contenere nichel (ed alcune persone sono allergiche al nichel). Noi addetti ai lavori dobbiamo trovare soluzioni: ad esempio, invece di usare farina integrale possiamo usare la tipo 1 o la tipo 2, che comunque contengono fibre.
Esistono a mio avviso dei mix di impasti creati solo per ragioni di marketing. Un esempio è l'impasto alla curcuma: in questo caso la ridotta quantità di curcuma ad alte temperature perde tutti i suoi benefici in termini di salute. Però il cliente vede un impasto di un colore diverso. E, appunto, si tratta solo di colore, nient'altro. Sono dell'idea che dobbiamo fornire impasti alternativi, ma deve trattarsi di mix collaudati dai mulini.
Alcune pizze di Mario Cipriano

E giungiamo così alla farcitura. E’ possibile farcire una pizza con la frutta, senza imitare la pizza con l’ananas sopra, tipica del mondo anglosassone? E poi, perché utilizzare proprio la frutta?

Certo, purché si tratti di pizza dessert e non più classica. Io personalmente preparo un impasto con la macinata a pietra di tipo 2 con valore proteico basso e aggiungo ad esso una piccola quantità di cacao amaro. In uscita farcisco con frutta fresca di stagione, perché le sostanze nutritive della frutta sono molto importanti, come lo sono gli antiossidanti.

Detto tutto questo, cosa occorre insegnare alle nuove leve di giovani pizzaioli? Quali sono le più importanti indicazioni da dar loro, in modo che possano in qualche modo trovare la loro strada e costruirsi una solida professionalità?

Il mio consiglio per le nuove leve è questo: non basta la pratica, sebbene sia fondamentale, occorre anche una conoscenza teorica di base, che va costantemente aggiornata con corsi, collettive e libri. Altrimenti si rischia di rimanere uno dei tanti, in un settore ad elevata concorrenza. Occorre necessariamente distinguersi: in buona sostanza fa la differenza chi è maggiormente preparato rispetto alle esigenze dei consumatori. Ma bisogna anche essere correttamente preparati.

Concludo con una notizia che ritengo utile non solo per gli addetti ai lavori, ma per tutti coloro che sono attenti a ciò che mangiano. Ho letto su facebook che il prossimo lunedì 24 aprile 2017 ci sarà un evento da lei organizzato, che ha l’aria di essere piuttosto interessante. Si tratta di una “degustazione pizza gourmet”: dove verrà svolta e a che ora? Può dirci come si svolgerà l’evento?


Sì, io e il mio staff abbiamo deciso di fare questa serata presso la pizzeria Palazzo Pretorio, che si trova in Via Baluardi 2/B a San Donato In Poggio, frazione di Tavarnelle Val Di Pesa in provincia di Firenze. L'evento comincerà alle ore 20. Durante la serata verranno presentate tre tipologie di impasto: salutare, condito con ingredienti di nicchia e a conclusione della serata sarà servita la pizza dessert che ho precedentemente descritto.

CHI E' MARIO CIPRIANO?

Classe 1982, di origini napoletane, si è formato a Trieste nelle pizzerie di famiglia. Comincia ad impastare a 15 anni, quando si innamora della pizza. Trascorrono molti anni di gavetta e - dopo varie esperienze - Mario si stabilisce a Firenze, dove frequenta molti corsi di specializzazione. Nel 2014 inizia ad insegnare l'arte della pizza ai ragazzi alle prime armi. Nel mese di settembre 2016 ottiene i tre spicchi del Gambero Rosso. Recentemente ha aperto una sua scuola di pizza e cucina in centro a Firenze.

Walter Caputo
Coautore del libro "La pizza al microscopio"







sabato 8 aprile 2017

PIZZA & FOOD MANAGER A SCUOLA DI CONTROLLO DI GESTIONE

La pizza nell'immagine - ormai simbolo dell'unione fra pizza e
matematica è nata con questo articolo 

Il cibo in Italia corrisponde ad un patrimonio enorme e genera un cospicuo reddito. Ma se voi fate parte della cosiddetta Food Economy, a quanto ammonta il vostro patrimonio? E il vostro reddito è sufficiente rispetto ai vostri standard? Magari - come tantissime aziende in Italia - anche la vostra è piccola o medio-piccola. Vi occupate di produzione oppure solo di distribuzione. Siete imprenditori e la vostra attività è un ristorante, una pizzeria, una panetteria, una vineria, una birreria oppure operate a monte producendo cibo, farina, vino e birra.

Sapete che il mondo del food non è più quello di una volta. Vi dicono che l'artigiano o l'azienda che opera solo localmente ha vita dura e futuro incerto. Però il prodotto made in Italy è apprezzato in tutto il mondo, ma per concorrere ad armi pari occorre crescere, realizzare economie di scala, diventare vere e proprie aziende, pur restando - magari più a livello di comunicazione e marketing - panificatori e pizzaioli.

Walter Caputo
E' risaputo che occorre essere professionisti nel proprio mestiere, anche se molti vedono l'apertura di un ristorante come un mezzo per cambiare lavoro e vita, credendo - ingenuamente - che per buttarsi nell'arena della ristorazione non occorrano prerequisiti. E' anche assodato che dobbiamo puntare alla qualità, perché la qualità nel cibo è già quasi un marchio di fabbrica che ci viene riconosciuto all'estero. Però la qualità bisogna saperla vendere, occorre far accettare al cliente uno scontrino più alto perché ciò che ha consumato ha un maggior valore. Ed è altrettanto indubbio che la qualità ha dei costi, che però occorre tenere strettamente sotto controllo. Se un'impasto particolare per la pizza mi costa il 30% in più, devo caricare il costo aggiuntivo sul prezzo e mantenere il margine costante. Anzi, se riesco a tenere sotto controllo adeguato i costi posso ridurli ed incrementare il margine. Ciò consentirà di disporre di un po' di denaro da investire per seminare oggi quello che sarà - domani - il futuro della mia attività.

Ai ristoratori italiani non manca certo la creatività. non manca nemmeno quella capacità di realizzare prodotti nuovi che portino il gusto della tradizione. Sanno soddisfare i clienti molto bene. Sanno che il cibo alla fine è scoperta: ciò significa che se in un bar trovo sempre le solite brioche (vuote, cioccolato, crema, marmellata), probabilmente presto cambierò bar. Ne troverò uno che vende una brioche gigantesca, ripiena di ricotta, che non ho mai mangiato e sarà proprio in quel giorno che deciderò di provarla. E ciò conferma che il cibo è scoperta.

Tuttavia i piccoli imprenditori italiani del food non curano abbastanza la gestione economica e patrimoniale della propria attività. Talvolta si giustificano dicendo che non hanno tempo, che devono pensare a produrre e non possono mettersi a fare i conti. Eppure i conti bisogna farli, per forza. E bisogna saperli fare, ovvero utilizzare pochi, ma buoni (e ben conosciuti) strumenti di controllo di gestione. In questo modo si possono fissare degli standard, e ci si accorge facilmente in tempo di ciò che sta andando per il verso storto. Si possono prendere provvedimenti correttivi. Si guardano i conti appena chiusi, per vedere quanto sono diversi rispetto agli obiettivi, ma l'ottica è anche spinta verso il futuro. Perché se la nostra azienda non pensa - oggi - al futuro, semplicemente nel futuro non ci sarà.

Il prossimo 16 maggio 2017 sarò a Portogruaro, nella sede dell'Accademia Pizzaioli per lavorare con voi in un workshop in cui vi presenterò un modello di controllo di gestione. Comprenderà diverse tecniche e metodologie e sarà già pronto. Insieme inseriremo i dati ed interpreteremo i risultati, facendo anche diverse simulazioni per capire quali sono le conseguenze economiche e patrimoniali di determinate decisioni di impresa. Quando ci saluteremo vi porterete a casa il modello (in excel) e lo userete nella vostra attività. Forse lo personalizzerete ancora di più. Sono certo che riuscirete a migliorarlo e la vostra azienda crescerà.

Walter Caputo

Fondatore del Blog Paghe e Contabilità e della pagina Facebook Contabilità e bilancio

Autore dei seguenti ebook:
- Le basi del controllo di gestione
- Contabilità e bilancio
- Il rendiconto finanziario
- Paghe e contributi

Autore dei seguenti corsi:
- Corso base di contabilità e bilancio
- Come leggere i risultati di un'azienda (ed agire di conseguenza)

domenica 2 aprile 2017

LA TETRODOTOSSINA DEL PESCE-PALLA RESISTE ALLA COTTURA

Walter Caputo e Rossano davanti all'ingresso del
Giardino delle piante velenose a Tenerife
"Se hai ingoiato il boccone sbagliato, le probabilità di sopravvivere sono piuttosto limitate", scrive Luis Devin nel libro "Ai confini del gusto", recentemente recensito su questo blog. Si riferisce al "fugu", termine che in giapponese significa sia pesce-palla che preparazione a base dello stesso. Ciò che rende così pericoloso tale alimento è la tetrodotossina, una tossina naturale particolarmente potente, in quanto può provocare facilmente la morte. E non si tratta di una bella morte.

Per capire meglio la questione ci occorrono - preferibilmente - un chimico e un antropologo. Il chimico è Pellegrino Musto, dirigente di ricerca presso l'Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri del CNR, nella sede di Pozzuoli (Napoli). Si occupa di chimica-fisica e, in particolare, di spettroscopia molecolare. Ha scritto un ottimo libro divulgativo: "Avventure molecolari - alla scoperta della chimica tra farmaci, droghe e veleni", pubblicato da Apogeo Education e Maggioli Editore nella collana "L'avventura della ricerca" a cura di Giovanni Filocamo.

Abbiamo anche l'antropologo, appunto Luis Devin, che ha compiuto ricerche soprattutto in Africa Centrale: ha vissuto nella foresta pluviale del Camerun con i pigmei Baka ed è stato sottoposto al loro rito segreto di iniziazione maschile, che ha ben raccontato nel libro "La foresta ti ha". Proprio in quel periodo ha potuto gustare le termiti vive e le larve di coleottero. Così, in seguito, ha scritto il libro "Ai confini del gusto - viaggio straordinario fra i cibi più insoliti del pianeta" per raccontare quello che gli altri mangiano e che noi ancora non comprendiamo, e non ha ristretto la sua indagine soltanto agli insetti commestibili, ma anche - e non solo - al pesce-palla.

Partiamo dunque dalle tossine. Si tratta - in generale - di molecole in grado di procurare la morte di un individuo sano in brevissimo tempo e con precisione chirurgica, come ci ricorda Pellegrino Musto. Siamo abituati a chiamare le tossine con il termine - più evocativo - di veleni. E di veleni ne esistono tanti, sia di origine naturale ovvero presenti in piante e animali sia fabbricate dall'uomo, spesso non per fini nobili.

Fra le tossine naturali più famose troviamo la nicotina, il curaro, la stricnina, la cicuta e - appunto - la tetrodotossina, impiegata dal pesce-palla a scopo difensivo. In particolare si tratta di una neurotossina in grado di ostruire i canali del sodio (di un essere umano) rendendo la terminazione nervosa incapace di trasmettere il segnale, con la conseguente paralisi e morte per asfissia. I primi sintomi di avvelenamento sono un senso di calore e un piacevole formicolio al palato, ma dopo giungono i tipici segnali della paralisi progressiva. Purtroppo - in questa situazione è proprio il caso di dirlo - il cervello non viene attaccato dalla tossina, quindi la vittima rimane cosciente e consapevole di ciò che gli sta succedendo nelle poche ore di agonia che lo separano dalla morte. Se invece - e ciò può anche raramente succedere - la morte ritarda e l'agonia si prolunga, probabilmente ci si salverà: bisogna però superare le 24 ore.

Gli appassionati di esperienze estreme sono avvisati, scrive Pellegrino Musto. Non chiedete allo chef di lasciare una minima quantità di tetrodotossina nel pesce-palla per provare una sorta di esperienza di pre-morte, perché la morte potrebbe anche arrivare. Basta una piccolissima quantità in eccesso e ci si procura un biglietto di sola andata per l'aldilà.


Come ci ricorda Luis Devin, la tetrodotossina è contenuta in alcuni organismi marini tropicali, non solo pesci-palla, ma anche nei pesci istrice e nei polpi dagli anelli blu. Si tratta di una neurotossina prodotta da batteri che vivono in simbiosi con questi animali oppure è contenuta nei crostacei e nei molluschi di cui si nutrono. In Oriente il pesce-palla viene consumato da più di 2000 anni e in Giappone è una vera prelibatezza. Però, a causa dei decessi, già nel 1958 il Governo Giapponese ha imposto regole ferree a cuochi, rivenditori e ristoratori. Ci vuole una speciale licenza, che si può ottenere solo dopo un apprendistato di due/tre anni, al termine del quale occorre superare un esame teorico-pratico. In Europa è vietata la vendita per il consumo alimentare. Negli Stati Uniti, per mangiare il pesce-palla occorre trovare alcuni ristoranti esclusivi.

Esistono diverse preparazioni alimentari a base di pesce-palla. Crudo, marinato, fritto, stufato con ortaggi, condimenti e tofu. Oppure fritto su un letto di riso e tè verde. Le pinne si fanno arrosto e con la pelle si fa l'insalata. Si serve anche cotto, ma la molecola di tetrodotossina è troppo robusta per essere degradata dalle blande condizioni di cottura. Si mangia persino la sacca del liquido seminale, appena grigliata all'esterno...

Naturalmente, come ci avverte Devin, la tetrodotossina è presente in tutto il pesce-palla, ma occorre fare attenzione ad alcuni organi particolarmente carichi di veleno (organi che quindi occorre rimuovere): fegato, gonadi, occhi e intestino. A questo punto credo che abbiate capito: non fate come il capitano James Cook che rischiò di morire per aver mangiato un pesce-palla, da cui aveva tolto solo le interiora per darle in pasto ad un maiale. Era il mese di settembre del 1774, nell'Oceano Pacifico, tra l'Australia e le Isole Figi. Cook e gli altri membri dell'equipaggio passarono solo una notte da vero incubo. Ma il maiale morì.

Walter Caputo