lunedì 28 novembre 2016

PIZZA E SALUTE

Il rapporto fra cibo e salute è estremamente complesso: dobbiamo semplificare ciò che gli scienziati scoprono affinché tutti possano capire, ma ridurre o tagliare è molto pericoloso. Ridurre ad un unico consiglio è spesso errato: ciò che ha effetti su qualcosa (magari positivi) ne ha anche su altro (eventualmente negativi), senza contare il discorso inerente ad allergie, intolleranze e patologie. In quest'ultimo ambito - quello medico - la comunicazione è intrinsecamente difficile.

Su questo blog ho già introdotto il tema del rapporto fra cibo e salute, soprattutto tramite le recenti scoperte dell'epigenetica. Ma non dobbiamo dimenticare che l'epigenetica è una scienza che sta muovendo i primi passi. A tal proposito Lara Rossi ha scritto: "(...) la parola epigenetica è entrata nel linguaggio scientifico per spiegare il funzionamento del genoma e decifrare la lingua con cui dialogano ambiente e DNA". Con riferimento all'epigenetica, Lara aggiunge: "Ma quando la parola si porta appresso fenomeni scientifici complessi, ancora dibattuti dalla stessa comunità scientifica, una doppia dose di cautela non guasta".

Se prendiamo in considerazione la pizza, scopriamo che il dibattito sul tema "pizza e salute" è piuttosto acceso. Ho già indicato ai lettori di questo blog il fatto che il risultato finale dipende anche dalla farina utilizzata e che rinunciare a tutto ciò che è bianco (farina, sale, zucchero e latte) non è un comportamento sorretto da basi scientifiche. Se è vero che alimentarsi in modo corretto è un buon obiettivo che possiamo porci, è anche vero che la pizza crea dipendenza, per cui - come per molti altri cibi - dobbiamo sempre esercitare un controllo sulla quantità che mangiamo (e naturalmente sulla qualità).

Il 30 novembre 2016, alle 19:30, presso il ristorante Palazzo Pretorio si parlerà di pizza e salute. Quindi si tratta di una buona opportunità per approfondire il tema. Se siete interessati potete contattare Mario Cipriano.

Walter Caputo




domenica 20 novembre 2016

NON TUTTE LE FARINE SONO ADATTE PER LA PANIFICAZIONE

"Il libro del pane" posto alla confluenza dei tanti sentieri
di un giardino dipinto (da mio figlio Rossano)
Se Piergiorgio Giorilli ed Elena Lipetskaia hanno scritto "Il grande libro del pane" (Gribaudo 2015) lo hanno fatto (anche) per fornire delle risposte. Ed allora ho deciso di scrivere questo articolo in forma di domanda e risposta, per consentire ai lettori di farsi un'idea del libro.

Sebbene il libro sia composto di diverse parti: i cereali, le farine, i lieviti, gli impasti, la cottura, la soluzione dei difetti del pane ed anche una corposa sezione di ricette (non sapete in quanti modi diversi si può panificare?), in questo articolo mi concentrerò sui cereali, in quanto interessano a tutti, non solo ai panificatori.

Perché, ad esempio, non posso fare il pane di solo miglio?

Non tutti i cereali (o assimilati ai cereali) presentano la stessa attitudine alla panificazione. In generale, l'incapacità di formare il glutine di alcuni cereali fa sì che essi vengano utilizzati per altri scopi, diversi dalla produzione di pane. O, al limite, se si vuol fare comunque il pane, occorre mischiare la farina del cereale con scarsa o nulla attitudine alla panificazione con farina di frumento.

Il miglio, molto coltivato in Asia e in Africa, appartiene proprio alla categoria suddetta. Però il germe del seme di miglio (dove si concentrano i grassi) può essere utilizzato per la produzione di olio vegetale o mangimi per animali. Il miglio può essere usato anche per la preparazione di dolci tipici e piatti da prima colazione.

Anche il grano saraceno, il cui seme ha una composizione chimica simile alle Graminacee nonostante esso provenga in realtà da una Poligonacea, non è in grado di formare il glutine e quindi ha scarse attitudini alla panificazione.

Ci sono altre caratteristiche di certi cereali che pongono problemi alla panificazione?

Sì, ad esempio la segale. Sebbene possa essere un cereale di moda ed essere desiderato dai consumatori per vari motivi (talvolta fondati e talvolta basati su pure suggestioni di marketing), la segale oppone dei "problemi tecnici" alla panificazione. Forma poco glutine (e basta quel poco per renderlo inadatto ai celiaci), ma non è questo il problema più rilevante. Si tratta soprattutto dell'intensa attività amilasica posseduta dalla farina di segale. In pratica, l'amido della farina viene attaccato dall'enzima amilasi (e viene attaccato molto facilmente perché gelatinizza ad una temperatura inferiore rispetto all'amido della farina di frumento). Il risultato è un amido molto idrolizzato, poiché viene spezzato chimicamente dall'amilasi con formazione di una molecola d'acqua. Ciò influenza negativamente le caratteristiche fisiche dell'impasto (anche se nella segale vi sono molte fibre, che assorbono quindi i liquidi) ed anche del prodotto finito, che sarà caratterizzato da una mollica umida e appiccicosa. Per contrastare l'attività delle amilasi occorre un impasto acido.
Cipriani Costantin Onu con il suo pane (con le olive)
appena sfornato

Quali cereali hanno il maggior contenuto energetico, e perché?

Fra i cereali altamente energetici c'è sicuramente il riso. Il motivo? Contiene tantissimo amido, fino al 70-80% della sostanza secca del seme. Peraltro l'amido costituisce la maggior parte della sostanza secca accumulata in moltissime produzioni vegetali (granella, tuberi, radici, foraggio, ecc.). E' la fonte primaria di calorie nella dieta umana. E, appunto, 100 grammi di riso forniscono 362 Kcal: non a caso - dopo aver mangiato un piatto di riso - ci si sente facilmente sazi... Però è anche vero che i chicchi di riso sono igroscopici, cioè sono in grado di assorbire i liquidi e i gas dell'intestino e quindi il riso è indicato in caso di scompensi intestinali.

In generale, i cereali hanno un modesto contenuto di proteine, che spesso vengono assunte tramite altri alimenti. Ma se volessi un contenuto proteico decisamente maggiore, cosa potrei fare?

E' vero, non a caso tanto tempo fa si parlava di pane e companatico. Il pane da solo (e quindi i carboidrati e l'energia) non basta, occorre aggiungere il companatico per le proteine (ad es. il prosciutto). Mio zio mi diceva sempre che sul pane lui metteva il prosciutto di campagna. Ma si riferiva ai pomodori, facilmente disponibili (appunto in campagna) per merenda...

Ed ora torniamo al quesito. Perché non provare con una farina di grilli? Per fare un chilogrammo ne occorrono 5000, ma c'è una start-up, Alma Eureka, che è una delle 16 selezionate da Digital Magics, un business incubator che si rivolge a tutte le start-up che sviluppano prodotti, servizi e modelli di business innovativi nei settori del food e dell’agroalimentare. D'altronde gli insetti presentano delle ottime caratteristiche nutrizionali, e sono molto più ecosostenibili delle attuali alternative di cui ci cibiamo.

P.S.: I legami fra pane e pizza sono noti a tutti. Non a caso, Piergiorgio Giorilli insegna come fare la pizza con la biga, mentre - ad esempio - un pizzaiolo come Cipriani Costantin Onu sa fare (anche) il pane.

Walter Caputo




domenica 13 novembre 2016

ESISTONO I 4 VELENI BIANCHI: SALE, ZUCCHERO, FARINA BIANCA E LATTE?

Tra i tanti siti pronti a puntare il dito contro un alimento, o contro gruppi di alimenti - ritenuti dannosi per la salute - ce ne sono alcuni che fanno riferimento alla "teoria" dei quattro veleni bianchi, ovvero sale, zucchero, farina bianca e latte.

Partiamo dal primo incriminato: il sale.

Storicamente l'uomo ha sempre cercato il sale. Ha scavato miniere per estrarlo (es. sale rosa dell'Himalaya), costruito saline (es. salina di Ostia o di Cervia che esiste ancora oggi) e vie per commerciarlo (via salaria). L'uomo ha seguito gli animali per scoprire dove se ne approvvigionavano, o - addirittura - ha bevuto il sangue degli animali (es. i Masai) perché altrimenti non ci sarebbe stata altra via per assumerlo.

Finché non fu possibile allungare la vita del cibo con la refrigerazione, salarlo era l'unico modo per conservarlo. Bisogna qui ricordare che le spezie non sono dei conservanti, ma dei miglioratori del sapore e servivano a coprire il saporaccio delle carni guaste.

Da queste poche informazioni possiamo quindi dedurre che i nostri nonni o bisnonni mangiassero molto più sale di noi. Un essere umano adulto contiene circa 250 gr di sale che deve reintegrare continuamente, perché si perde con le funzioni corporee. L'OMS consiglia di assumere giornalmente 5 gr di sale, che diventano 2 kg all'anno.

Un eccessivo consumo di sale può portare all'ipertensione, che a sua volta può portare a malattie cardiovascolari, renali o a negativi eventi cerebrovascolari, ma solitamente la troviamo in soggetti obesi o predisposti geneticamente.
Il sale influisce sul corretto funzionamento del metabolismo. Il sale iodato permette alla tiroide di funzionare correttamente.

La mancanza di sale può provocare gas intestinali, perdita di peso, vomito, alterazione della glicemia, palpitazioni, indebolimento, mal di testa e contrazioni muscolari.
Dobbiamo quindi ricordarci che il sale non è un alimento, perché è un minerale, ma è essenziale per la vita umana.

Passiamo al secondo incriminato: lo zucchero.

Quando parliamo di zucchero parliamo in realtà di saccarosio. I cibi che noi ingeriamo vengono convertiti in glucosio, che viene portato a tutte le cellule del nostro organismo. Pensate che solo il cervello per funzionare ha bisogno ogni giorno di almeno 100 gr di zucchero (e che, da solo, il cervello consuma il 25% dell'energia che introduciamo nel nostro corpo con il cibo).

Lo zucchero viene incriminato perché il vegetale che lo contiene (barbabietola) deve essere lavorato per poterlo ricavare. E' come se - lavorandolo - lo si intossicasse e rendesse inefficace, ed è quindi meglio preferire lo zucchero di canna. Ma anch'essa va lavorata per poter ricavare lo zucchero. Inoltre lo zucchero bianco e quello di canna hanno lo stesso indice glicemico e quindi se fa male uno, fa male anche l'altro.

Il consumo eccessivo di zucchero porta ad obesità e diabete di tipo 2, ma l'ipoglicemia provoca sintomi come: tremori, palpitazioni, confusione mentale, fame intensa, debolezza e sonnolenza.
Dobbiamo quindi ricordarci che lo zucchero è il nostro carburante e dobbiamo quindi farne un uso equilibrato.

Passiamo al terzo incriminato: la farina bianca.

La lavorazione del grano, ovvero la separazione - nel chicco - di crusca, germe ed endosperma, farebbe perdere alla farina che se ne ricava la stragrande maggioranza del suo contenuto di minerali e  vitamine. Se controlliamo le tabelle e confrontiamo cereali integrali e non, notiamo che la perdita più significativa avviene a livello delle fibre e non dei nutrienti e delle vitamine. Inoltre, tra le farine, quelle bianche ne contengono comunque significativamente di più rispetto da orzo e riso.
La perdita di fibre può tranquillamente essere compensata assumendo crusca e mangiando frutta e verdura.
Dobbiamo quindi ricordarci che non consumiamo carboidrati per il loro contenuto di vitamine, ma per l'amido.

Passiamo al quarto incriminato: il latte.

Per condannare il latte si chiama in causa l'evoluzione: l'essere umano è l'unico animale che beve latte dopo lo svezzamento e lo beve di un altro animale, tutto ciò sarebbe quindi contronatura. E' anche vero che da che mondo è mondo l'uomo alleva bovini, ovini e caprini proprio per il loro latte. Chissà perché?

E' vero che non tutta la popolazione possiede la lattasi, l'enzima che serve a scomporre il lattosio, ma questa mancanza dipende dalle zone in cui si vive. Nei paesi freddi solo il 10% della popolazione non ha questo enzima. L'evoluzione ha quindi favorito i popoli che non possono facilmente attivare la vitamina D esponendosi al sole. E' anche vero che chi non ha la lattasi non necessita di eliminare completamente i derivati del latte, perché più il latte viene lavorato, più il lattosio si perde. Quindi un formaggio stagionato conterrà molto meno lattosio di uno fresco, e quest'ultimo - a sua volta - ne conterrà meno dello yogurt. E lo yogurt contiene meno lattosio rispetto al latte.

Dobbiamo quindi ricordarci che se eliminiamo tutti i latticini, priviamo il nostro corpo di calcio e vitamina D, che devono essere integrati; e che se lo facciamo perché non vogliamo assumere gli estrogeni presenti nel latte e poi beviamo latte di soia, gli estrogeni li assumiamo lo stesso, e dobbiamo sapere che anche i fitoestrogeni rendono sterili, lo sanno bene gli allevatori di ovini che in Australia davano il trifoglio alle loro pecore.

In generale ci stiamo iperalimentando con qualunque cibo ed essere più morigerati male non ci farebbe, ma questo atteggiamento è ben lontano dall'incriminare gli alimenti, che sono lì per il nostro sostentamento.

Per concludere, ricordiamoci sempre che aveva ragione Paracelso quando diceva che è la dose che fa il veleno.

Fonti:
Silvia Bencivelli, Daniela Ovadia -  "E' la medicina, bellezza! - Perché è difficile parlare di salute" - Carocci editore
Walter Caputo, Luigina Pugno -  "La pizza al microscopio - Storia, fisica e chimica di uno dei piatti più amati e diffusi al mondo" - Gribaudo editore
Piergiorgio Giorilli, Elena Lipetskaia - "Il grande libro del pane" - Gribaudo editore

Luigina Pugno

venerdì 11 novembre 2016

L'ESTRAZIONE DEL DNA DAL POMODORO: INTERVISTA ALLA BIOTECNOLOGA ALESSANDRA MIRAGLIA

Alessandra Miraglia (con il camice) e Luigina
Pugno, mentre rispondono alle domande poste
dal pubblico
Venerdì 4 novembre 2016 al Festival della Divulgazione - in occasione della presentazione del libro "La pizza al microscopio" - gli spettatori hanno assistito ad un esperimento scientifico in diretta. La biotecnologa Alessandra Miraglia ha estratto il DNA da un pomodoro, utilizzando strumenti che normalmente si trovano in casa. Esattamente in questo modo l'esperimento è descritto - passo per passo - sul libro citato.

Vogliamo però chiedere alla dott.ssa Miraglia come si procede in laboratorio per effettuare un esperimento di questo tipo.

Innanzitutto, dott.ssa Miraglia, che cosa ci occorre per effettuare l'esperimento?

Sicuramente serve il materiale da cui estrarre il DNA, cioè il pomodoro, ma va bene anche il kiwi o la banana. Poi ci occorre carta da filtro, ansa, becher, provette, pipette, pestello e mortaio. Ed anche una piastra riscaldante ed un termometro per tenere sotto controllo la temperatura. Dovremo preparare la soluzione di estrazione, che sarà composta da tensioattivi (es. detersivo per piatti), cloruro di sodio (sale da cucina) ed un enzima proteolitico. Un enzima non è altro che un catalizzatore, ovvero un mezzo per velocizzare una reazione chimica: a tal fine si può usare la bromelina, che è una proteasi e si estrae dal succo d'ananas. Infine dobbiamo procurarci dell'etanolo: va bene l'alcol a 96 gradi.
Se avessimo a disposizione un microscopio elettronico potremmo vedere i filamenti di DNA: dovremmo però colorarli con il blu di metilene. Per vedere proprio la doppia elica ci vuole un microscopio atomico.
Sotto i riflettori: l'estrazione del DNA dal pomodoro e
il libro "La pizza al microscopio" (Gribaudo 2016)

A questo punto come si procede?

In laboratorio si procede grosso modo come si potrebbe procedere a casa propria. Però prima si devono fare le misure: 100 grammi di pomodoro ripulito da pelle e semi. La polpa di pomodoro va pestata con delicatezza, perché altrimenti il DNA potrebbe deteriorarsi.
A parte occorre preparare la soluzione di estrazione nel becher: 100 ml d'acqua, 10 ml di detersivo per piatti, 3 grammi di sale, 5 ml di succo d'ananas fresco (intendo dire estratto proprio dall'ananas). A questo punto aggiungiamo la soluzione di estrazione al pomodoro pestato. Mettiamo il risultato ottenuto a bagnomaria sulla piastra riscaldante. La temperatura massima è 50°C, se si dovesse superare tale temperatura potrebbero verificarsi processi ossidativi e di degradazione del DNA. Riscaldare serve a velocizzare il processo. Poi però dobbiamo raffreddare velocemente in un bagnetto di ghiaccio. Filtriamo usando la carta da filtro, preleviamo 20 ml di filtrato e lo mettiamo nella provetta.
Nella provetta aggiungiamo 20 ml di etanolo facendolo scendere lentamente, in modo che le due soluzioni non si mischino. Infatti l'alcol è solubile, però è meno denso, quindi resta in superficie e galleggia. Il DNA precipiterà nell'alcol ed osserveremo dei fiocchettini che vanno prelevati con un'ansa e riposti su un vetrino. Poi basterà aggiungere una goccia di colorante (blu di metilene) e si potrà osservare il risultato al microscopio elettronico.
Da sinistra: Walter Caputo, Alessandra Miraglia e
Luigina Pugno (foto ricordo FDD2016)

Molti associano caratteristiche negative al termine "biotecnologie". Credono che i biotecnologi siano oscuri manipolatori della natura. Come stanno in realtà le cose?

Le biotecnologie rappresentano un'evoluzione della tradizionale biologia che si studia all'università. Come la biologia, la biotecnologia ci consente di studiare e conoscere la vita. Però, a differenza della biologia, la biotecnologia - appunto grazie a tecnologie ad hoc - ha fatto passi da gigante. Intendo riferirmi ad esempio all'ingegneria genetica. In un certo senso la biotecnologia potrebbe essere scaturita dall'unione dell'ingegneria con la biologia. L'ingegneria crea a livello macroscopico (pensiamo ad es. ad un grattacielo), mentre la biotecnologia crea a livello microscopico.
L'evento del 4/11/2016 al Festival della Divulgazione di Potenza

A proposito, qual è il suo pensiero rispetto agli OGM?

Dobbiamo sempre considerare che lo scopo deve essere il miglioramento genetico (ad es. nell'ambito dei vegetali). Vorrei dire questo ai lettori: se siete contrari agli OGM, provate le radiazioni ionizzanti! Oppure mettetevi a fare tentativi e magari otterrete risultati dopo molti anni. E' proprio questo il punto: gli OGM sono il frutto di una tecnica molto più mirata delle radiazioni ionizzanti e sono un deciso passo avanti rispetto ad incroci casuali, frutto di innumerevoli tentativi, nell'attesa di risultati che talvolta non arrivano. E intanto dobbiamo comunque mangiare. In tantissimi, seduti alla stessa tavola....

Walter Caputo e Luigina Pugno

domenica 6 novembre 2016

PASTICCERIA E MATEMATICA CON EUGENIA CHENG

Certo, noi tutti sappiamo che c'è della matematica nelle preparazioni, che si tratti di pizza o pasticceria, almeno per quanto riguarda i dosaggi e la geometria delle torte.

Eugenia Cheng si è spinta oltre e ha usato la pasticceria come metafora per spiegare la matematica e i matematici.
Innanzitutto la Cheng spiega che la matematica è formata da livelli crescenti di astrazione. Come con la matematica, anche nelle preparazioni culinarie cominciamo apprendendo i fondamenti, poi ci spingiamo ad imparare preparazioni più complicate, finché ad un certo punto alcuni di noi sentono di poter manipolare gli apprendimenti. E con l'aiuto dell'immaginazione cominciare ad inventare nuovi piatti: i propri piatti, le proprie pizze, le proprie torte.

Ma avverte la Cheng: ognuno ha un limite di astrazione che può raggiungere. Se quel limite non sopraggiunge troppo presto si può diventare dei matematici.

Io il mio limite l'ho raggiunto con il calcolo letterale. L'ho sentito sganciato dalla realtà e da lì in avanti non ho più capito molto. Ma leggendo "Biscotti e radici quadrate - Lezioni di matematica e pasticceria"  la Cheng mi ha aiutata a spingermi oltre usando l'espediente della pasticceria, come io e Walter Caputo - nel libro "La pizza al microscopio" - abbiamo usato la pizza per spiegare i principi base della scienza.

Ha cominciato con i brownies senza glutine per spiegare che sono importanti il procedimento e lo strumento che si usa. Così in matematica lo strumento che si usa è la logica, mentre nel caso dei brownies lo strumento per una corretta cottura è lo stampino e non la teglia grande.
La Cheng ci ricorda che, come in pasticceria, le ricette non sono mai complete, sono sempre ricette base, che poi possono essere variate/farcite come si vuole. Per la matematica la maionese e la salsa olandese sono la stessa cosa anche se varia un ingrediente, perché la matematica ignora i dettagli se ciò rende più facile capire le cose.
La pasta sfoglia è come la matematica: ci sono ingredienti semplicissimi con cui si riescono a fare cose complicatissime.

Diversamente dalle ricette che ci raccontano il procedimento, ma non ce lo spiegano, la matematica si occupa di spiegare il perché le cose sono così e si fanno così.
Più le questioni matematiche si complicano, più le ricette si complicano, ma la Cheng non ha solo la capacità di rendere facile per tutti la matematica, ci riesce anche con le ricette, come la Baked Alaska!

Con me la pasticceria ha funzionato...sono riuscita persino a capire che cosa sono la topologia e la teoria delle categorie.
Ora che ho capito di più la matematica, non mi resta che cimentarmi anche con le sue ricette!

Luigina Pugno