mercoledì 28 marzo 2018

LA SCIENZA DEL PANE: AGENTI LIEVITANTI E COTTURA

Grazie al Dott. Sergio Saia, che lavora al Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Cereal and Industrial Crops (CREA-CI), continuiamo a scoprire la scienza del pane. Dopo la prima puntata, sul sapore del pane, la seconda, sulle proteine e sulla macinazione e la terza, sulle farine prendiamo in considerazione gli agenti lievitanti e la cottura.

E degli agenti lievitanti cosa mi dici? Qual è il migliore per avere un buon pane?

Se parliamo di quelli “vivi”, scopriamo un mondo. Possono essere sia funghi (i lieviti) o batteri (es. quelli contenuti nelle paste madri) o anche mescole. E all'interno di ciascuno di questi gruppi troviamo diverse “varianti” (specie, ceppi, etc.). Ovviamente, gli esseri viventi hanno un'attività che dipende da tante condizioni, perfino dalla temperatura di partenza. Come per ogni risposta che ti ho dato, il migliore non esiste.

Ma esistono agenti che in date condizioni forniscono pani migliori, ma in altre forniscono pani peggiori. Le paste madri, ad esempio, sono considerate migliori, ma la capacità dei batteri di aggredire l’impasto e trasformarlo (la lievitazione comporta molti cambiamenti chimici e fisici) è spesso inferiore rispetto a quella dei lieviti e quindi una pasta madre può richiedere più tempo per esprimere le sue potenzialità in fatto di sapore e, paradossalmente, se questo tempo di lievitazione non viene concesso, il pane può risultare peggiore rispetto a quello ottenuto con lievito di birra.
E, quindi, dobbiamo assicurarci che l’impasto del pane sia stato lievitato per molto tempo se lievitato con pasta madre?

Bè, si e no. Da un canto è molto improbabile che un pane fatto con pasta madre venga lievitato per poco tempo, se non altro perché assumerebbe una forma poco rotonda. La lievitazione comporta pur sempre un aumento di volume del pane. Dall'altro, il tipo di lievito usato può anche comportare pochi effetti sul pane in funzione di altre variabili della panificazione.

Ad esempio quali?

Sono tantissime. Considera che in queste risposte ho tralasciato moltissimi aspetti che sono molto importanti, come temperatura dell’impasto, tempi e temperature della fase di impastamento, rapporti tra gli ingredienti, tipologia di sale utilizzato, la cottura, etc.

Ecco, si fa tanto parlare di forno a legna. È veramente migliore?

Bè, sai, in fase di cottura la cosa importante non è di per sé la tipologia del forno, ma le condizioni di cottura del pane. Se un forno a legna e uno a gas mettono il pane nelle stesse condizioni, non c’è ragione di pensare che la cottura possa influenzare il sapore del pane. Ma nella realtà, i vari tipi di forno (anche due forni a gas diversi tra di loro) mettono il pane in condizioni notevolmente diverse di temperatura, umidità, ventilazione, etc. Alcuni forni a legna, inoltre, hanno il fumo della legna non separato dal pane e quindi questo può assumere sapori e odori che dipendono anche dal fumo e dalla tipologia di legna impiegata.

E non dimentichiamo mai i tempi di cottura in relazione alla forma e dimensione del pane. Pani molto grossi hanno problemi a cuocere nella parte centrale, ma non possono essere cotti subito a temperature elevate altrimenti il disseccamento rapido della parte esterna potrebbe influenzare lo stato della parte centrale. Molti trovano il pane cotto a legna migliore rispetto a quello cotto a gas, ma ribadisco che tale maggiore bontà dipende dalle condizioni di cottura, non dalla tipologia del forno. E nelle nostre prove non abbiamo trovato una grande influenza del tipo di cottura sul sapore del pane.

Ma quindi, cosa è più importante nel determinare il sapore del pane?

Da un recente lavoro che abbiamo condotto a Foggia, presso il Consiglio per la ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, dove attualmente lavoro, è emerso che la macinazione è il fattore più importante. Ciò dipende dal fatto che il tenore in fibre (che, come dicevo, dipende dalla macinazione e successivo setacciamento) influenza in modo notevole ogni aspetto del pane; dalla sua consistenza alla capacità degli agenti lievitanti di trasformarlo, dalla sua percezione al morso, al suo colore, etc.

Non perdete la quinta ed ultima puntata, che verrà pubblicata sul numero di aprile 2018 del mensile "Ristorazione Italiana Magazine"!

Walter Caputo
Con Sergio Saia, Luigina Pugno e molti altri, relatore al CNMP 2018 dal 6 all'8 aprile a Roma


giovedì 22 marzo 2018

LA SCIENZA DEL PANE: FARINE INTEGRALI O FARINE RAFFINATE?

Dott. Sergio Saia
Grazie al Dott. Sergio Saia, che lavora al Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Cereal and Industrial Crops (CREA-CI), continuiamo a scoprire la scienza del pane. Dopo la prima puntata, sul sapore del pane e la seconda, sulle proteine e sulla macinazione, prendiamo in considerazione le farine: è meglio usare quelle integrali o quelle raffinate?

Ma quindi è più buono il pane fatto con farine integrali o con farine raffinate?

Difficile da dire realmente e non perché non ci siano prove a riguardo. Attualmente è chiaro che il pane con farine raffinate venga gradito di più di quello integrale e questo è confermato sia da prove sperimentali, sia da prove con utenti comuni e sia, permettimi, anche dai volumi di vendita di ciascuna di queste due categorie. Su quest’ultimo aspetto mi riservo di poter dire di più in seguito, se non altro perché la società attuale ci “educa” ad un certo tipo di alimenti, ma nel caso del pane da farine integrali o meno, non c’è un grande effetto dell’industria o della G.D.O. come invece succede per altri prodotti freschi (es. le banane, di cui disconosciamo o quasi il vero sapore).

Certo è che il pane integrale ha profumi e sapori che quello di farine raffinate non ha, ma questi non sono opportunamente migliori. Inoltre, un pane integrale di una varietà moderna somiglia moltissimo a uno integrale di una varietà antica per molti aspetti. E lo stesso succede quando le farine sono raffinate. Purtroppo, spesso, viene fatto passare il messaggio che un pane integrale di grani antichi sia migliore di uno da farina raffinata da grani moderni per via del genotipo, mentre è la raffinazione della farina a determinare le differenze.

Ne riparliamo magari in seguito. E avuta la farina o la semola con il suo grado di fibre, proteine, amidi, etc.?

Una volta avuti farina o semola (o mescole) con date caratteristiche, si deve impastare. E l’impasto è uno zibaldone molto complesso. I rapporti tra acqua, sfarinato, sale e agente lievitante e altri eventuali cofattori possono influenzare molto la struttura stessa dell’impasto, prima ancora che inizi il processo di lievitazione. E ciascuno di questi componenti può variare come tipologia, oltre che come quantità. E dalla struttura dell’impasto dipende la lievitazione stessa.

Ma cosa sono questi cofattori di cui parli?

Additivi che influenzano caratteristiche ben precise dell’impasto o l’attività dell’agente lievitante. Uno per tutti, la vitamina C che influenza sia il glutine, sia l’attività degli agenti lievitanti. D’altro canto, gli agenti lievitanti sono (quasi) sempre esseri viventi. E qualora si tratti di composti chimici, oltre ad essere a tutti gli effetti dei cofattori, sono influenzati da qualunque cosa stia nell’impasto.

Non perdete la quarta puntata de: "La scienza del pane" che verrà pubblicata sempre qui, su "Cibo al microscopio"!
E poi, al CNMP 2018, non perdete la giornata dell'8 aprile, perché si parlerà delle "tre P": pane, pizza e pasta. E ci sarà anche un intervento degli autori de: "La pizza al microscopio". A presto, ci vediamo a Roma!

Food Science Writer


venerdì 16 marzo 2018

LENTICCHIE ALLA JULIENNE


Alain Tonné non è un uomo comune, è un uomo dall'abbronzatura illegale, capace di emettere rutti biodegradabili.
Alain Tonné non è solo uno chef, è lo chef più bravo al mondo. Mentre gli altri pensano a banali abbinamenti gastronomici, lui sferifica occhi di bue e per la precisione, non uova all'occhio di bue, ma veri occhi di bue. Maneggia la chimica e le sue sostanze come nessuno e grazie ad esse riesce a superare i limiti culinari. Non mi credete? Leggete qui. Alain prepara per la cena di rimpatriata coi compagni di scuola le Praline di consommé in tempura e "Al suo apparire scoppiò l'applauso. Lui era la star, quello che ce l'aveva fatta, l'unico con un dossier a suo nome negli uffici della guardia di finanza".

Tutti abbiamo visto in tv gli chef più o meno stellati, su uno o diversi canali e vedendoli spesso in tv ci siamo chiesti: "cosa fa davvero uno chef di lavoro?", "ma nel suo ristorante ci andrà qualche volta?".
Nel libro di Antonio Albanese "Lenticchie alla julienne", edito da Feltrinelli, ci sono le risposte.
Non è solo un libro di risposte, è anche un libro che svela i retroscena degli ingaggi a molti zeri e dei concorsi per professionisti. Ingaggi complicati, idee culinarie che superano i limiti della fisica, della chimica e della commestibilità, e concorsi che manderebbero in ansia il più serafico dei meditatori tibetani sono descritti da Albanese con tutta la sua comicità, a volte anch'essa spinta vicino al limite dell'assurdo. Alain Tonné ce la fa sempre, supera tutto e resiste a tutto, anche all'ironia pungente di Albanese. Sarà per questo che gli ha regalato la sua storia e la sua ricetta su un molo di Marsiglia?

Ah giusto, dimenticavo, in questo libro non mancano le ricette, che finalmente mi danno ragione: le preparazioni delle riviste richiedono sempre un ingrediente introvabile, ma non per Alain Tonné, e per questo, lui è il più grande!

Luigina Pugno

martedì 13 marzo 2018

LA SCIENZA DEL PANE: PROTEINE E MACINAZIONE

Dott. Sergio Saia
Grazie al Dott. Sergio Saia, che lavora al Council for Agricultural Research and Economics (CREA) – Research Centre for Cereal and Industrial Crops (CREA-CI), continuiamo a scoprire la scienza del pane. Dopo la prima puntata, sul sapore del pane, prendiamo in considerazione le proteine e la macinazione.

Ecco: proteine, glutine, grani “antichi” e “moderni”, vogliamo chiarire?

Il tenore proteico della granella (e degli sfarinati) è una tra le componenti più importanti nei processi produttivi (panificazione, pastificazione e altri). Questa caratteristica dipende tuttavia in massima parte dalle tecniche produttive utilizzate (zona di produzione, andamento climatico, fertilizzazione ove presente, etc.). Generalmente i genotipi meno produttivi, siano essi antichi o moderni, a parità di tutto, presentano un tenore proteico più alto di quelli molto produttivi (che presentano, di contro, un maggior contenuto in amidi). I “grani antichi” sono quasi sempre meno produttivi dei moderni e quindi presentano spesso più proteine. Delle proteine contenute nella granella di frumento, la gran parte sono glutenine e gliadine, che durante il processo di trasformazione, in presenza di acqua, formano il glutine. Ecco quindi che i “grani antichi” hanno quasi sempre più glutine dei moderni. Inoltre, come anticipato, la forma del glutine cambia.

In funzione del processo di panificazione (o pastificazione) utilizzato, il tenore proteico considerato ottimale per poter avere un buon pane può variare, ma difficilmente scende sotto il 10% (nella farina o semola). Nel caso della granella, la sola macinazione può comportare una perdita di tenore proteico dell’1% o anche più. Generalmente, a parità di tutto, pani fatti con farine poco proteiche non sono considerati molto buoni e queste farine vengono usate per prodotti che hanno scarso bisogno di lievitazione. Le proteine sono infatti cruciali durante la lievitazione e la lievitazione ha implicazioni notevoli sul sapore. 

Fermo un attimo, perché dici continuamente “a parità di tutto” e cose simili?

Perché quando studiamo se un trattamento è migliore di un altro nel determinare un esito, abbiamo bisogno, quantomeno, di variare solo quel determinato trattamento e mantenere fissi tutti gli altri. Quindi, se vogliamo sapere se una varietà o specie di frumento fornisce un pane migliore di un'altra, dobbiamo coltivarle nelle medesime condizioni, quindi seminarle nello stesso campo, fornire loro le stesse quantità di nutrienti e acqua, etc. Altrimenti rischiamo di attribuire al genotipo un effetto che dipende invece da altro (es. la fertilizzazione). Allo stesso modo, dobbiamo raccogliere contemporaneamente la granella delle due varietà, macinarla allo stesso modo, impastare la semola o la farina delle due varietà contemporaneamente e con gli stessi ingredienti, lievitare gli impasti nelle stesse condizioni e cuocerli nello stesso forno e condizioni di cottura.

Mi pare si stia entrando più nel merito del pane, adesso.

Certo. Ottenuta la granella, la macinazione è uno dei passi più importanti per determinare la qualità e il sapore del pane. Premettiamo che, come per ognuna di queste variabili, anche la macinazione può essere condotta in modi diverse. In primis, è possibile avere uno sfarinato con un diverso grado di fibre. Per essere precisi, la macinazione, in sé, non rimuove le fibre, ma questa è accompagnata da un processo di setacciamento che può allontanare quasi completamente la crusca, che è la frazione che contiene la gran parte delle fibre. Oppure è possibile lasciare completamente la crusca, ottenendo così gli sfarinati integrali. Inoltre, gli sfarinati possono essere ricostituiti mischiando parti note di frazione fine o raffinata con crusca. La quantità di fibre in un kg di farina ha una ripercussione notevole sul sapore e profumo del pane. 

Per inciso, i sapori del pane dipendono molto dall’agente lievitante e dalle condizioni in cui questo è stato fatto operare, ma tra queste condizioni, la quantità di “cibo” per il lievito è importante. Le farine integrali hanno meno amidi e più fibre delle farine raffinate e gli agenti lievitanti prediligono gli amidi.

Non perdete la terza puntata de: "La scienza del pane" che verrà pubblicata sempre qui, su "Cibo al microscopio"!

Walter Caputo
Divulgatore Scientifico
Con Sergio Saia e 30 relatori sarà al CNMP2018

venerdì 2 marzo 2018

IL MUSEO MARTINI & ROSSI




E' il pomeriggio del 24 febbraio quando varchiamo, insieme al gruppo del press tour organizzato dal Festival del giornalismo alimentare, le soglie del Museo dell'enologia Martini & Rossi. Mi colpisce subito la vastità dei locali necessari a contenere attrezzature, che mi sembrano di grandezze spropositate.



In fondo: il primo tino utilizzato 
dall'alchimista Rossi
Abituata a vedere tini e botti da "cantina fai da te", ovvero da singoli produttori, la mia mente rimane sconcertata dalle dimensioni delle attrezzature in legno e pietra usate a livello industriale nella seconda metà dell'ottocento.

Era il 1863 quando nasceva a Pessione la Martini & Rossi.
Questo paesino presentava 3 vantaggi:
- era vicino alla capitale d'Italia (Torino);
- era vicino alle Alpi, da dove arrivavano le erbe per preparare il Vermouth;
- era collegato con la ferrovia (i treni arrivavano direttamente nello stabilimento)

Comincia la produzione del Vermouth, un liquore a base di vino, erbe e zucchero, e viene assunto Rossi come alchimista e liquorista. Con il suo contributo la Martini & Rossi continuerà a crescere in modo inarrestabile e nel 1899 potrà affermare di vendere in tutto il mondo. "La solita affermazione che esclude però le zone commercialmente difficili" penso e invece una mappa nel museo ci mostra le zone di vendita nel 1899 e con mio stupore vedo che è ampiamente inclusa l'Africa. Tanta Africa. Restano escluse solo l'Asia centrale e la Nuova Zelanda!

E' ammirabile la capacità, già presente in quegli anni, di prestare attenzione ai rapporti commerciali e al marketing. Le bottiglie in vetro sembrano sculture. I poster pubblicitari sono opere d'arte che stringono la mano alla pubblicità.

I reperti partono dalle anfore romane e greche, fino alla sala che racconta la storia dell'omonima azienda. La visita si svolge con un'audioguida e alla fine si degusta un cocktail della Martini. L'appartamento dove viveva la famiglia Rossi è stato trasformato nella bellissima "Terrazza Martini".
Dulcis in fundo, nel cortile retrostante, è conservata in una teca la mitica Lancia Delta da competizione.


Luigina Pugno
Lancia Delta