venerdì 5 agosto 2016

IL FORNO CERCA UN PROFESSIONISTA

Pizza napoletana marinara
Il 30 luglio 2016, sul quotidiano spagnolo "La Vanguardia", è stato pubblicato un articolo, intitolato "El horno busca un profesional", firmato da Piergiorgio Sandri. "La Vanguardia" ha autorizzato il blog "Cibo al microscopio" a tradurre e pubblicare l'articolo in italiano. La traduzione è stata effettuata da Luigina Pugno, coautrice del libro "La Pizza al microscopio", intervistata da Piergiorgio Sandri - insieme a Walter Caputo - per fornire un contributo sul tema dell'articolo in oggetto.

TITOLO:
Uno degli alimenti più popolari aspira a proteggere la sua autenticità
IL FORNO CERCA UN PROFESSIONISTA
L’Italia vuole creare la figura del lavoratore qualificato per tutelare la qualità del prodotto

TESTO:
Si cerca pizzaiolo. Però non uno qualsiasi. Un pizzaiolo professionista. L'Italia, culla della pizza, vuole creare un titolo ufficiale e un albo che riconosca il lavoratore qualificato nel settore pizza. Da alcune settimane è stata presentata al Senato una proposta di legge e si aspetta che veda la luce dopo l’estate.

Chi pensa di saper cucinare l’autentica pizza italiana dovrà superare alcune prove: avere una pratica lavorativa di 18 mesi, esami teorici e frequentare 120 ore di lezione che includono anche nozioni di chimica, tecnica di laboratorio e igiene, fino alla conoscenza della lingua inglese.

L’iniziativa è motivata da un dato sorprendente: la carenza di pizzaioli di qualità. Si stima che nel Paese ci siano più di 10.000 posti vacanti. La domanda supera l’offerta. Questa figura professionale può arrivare a guadagnare 3.000 euro al mese. I buoni pizzaioli non bastano e anche in Italia (dove nel settore lavorano 100.000 persone) c’è tanta penuria che vengono cercati tra gli stranieri. Secondo i dati di Coldiretti, 4 pizzaioli su 10 arrivano da fuori: in particolare dall’Egitto, Tunisia e Marocco. In città come Milano, più della metà delle pizzerie non sono italiane.



Non si tratta di una vena patriottica o di protezionismo: i puristi di questo alimento si lamentano della qualità della pizza.  Un paese come l’Italia rischia,  se coloro che cucinano la pizza non hanno conoscenze adeguate. Di fatto, alcune pizzerie (non solo in Italia, ma anche in Spagna) non cucinano la pizza come dovrebbero o usano ingredienti non tradizionali: pomodori dalla Cina o mozzarelle dalla Lituania, olio d'oliva della Tunisia e grano del Canada per menzionare i casi che denunciano le associazioni di settore. Queste fonti stimano che 2 pizze su 3 che si servono nei ristoranti non soddisfano i requisiti.

Enzo Prete, presidente dell’Associazione Amar (Associazione Maestri d’Arte Ristoratori Pizzaioli) è uno dei promotori di questo progetto di legge e crede che “la situazione sia grave”. Gli italiani aspirano ad essere gestori e già non vogliono mettersi dietro il forno. Ci sono pochi aspiranti e ogni volta ci sono intrusioni professionali.

Però la pizza – si sa- è una cosa seria: l’Associazione dei pizzaioli napoletani ha lanciato una campagna affinché questo alimento sia dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La questione è all'ordine del giorno: come deve essere l’autentica pizza italiana? Nella speranza che il pizzaiolo abbia un riconoscimento ufficiale che certifichi le sue capacità, come riconoscere se un piatto che serviamo è stato cucinato in accordo con i canoni gastronomici stabiliti?

Walter Caputo e Luigina Pugno, due divulgatori scientifici, hanno pubblicato un libro per darci le chiavi di risposta: "La pizza al microscopio". Raccontano che durante una vacanza alle Azzorre, in Portogallo, mangiarono una pizza che “non era degna di questo nome: la base sembrava di legno e sopra c’erano formaggio e ketchup”. L’esperienza li ha colpiti e misero mano all’opera per scrivere un libro  sul tema.

L’autentica pizza deve essere cucinata nel forno a legna a forma di cupola, ad una temperatura compresa tra i 450 e i 500 gradi, in un tempo che oscilla tra i sessanta e i novanta secondi, con ingredienti come pomodori (se possibile della varietà San Marzano), fresco o tritato – mai a base di concentrato -, mozzarella (di mucca o di bufala) e soprattutto un impasto che, lavorato con acqua ad una temperatura tra i 20 e i 35 gradi, abbia un minimo di due ore di riposo (n.d.t.: i tempi di lievitazione complessivi spesso si aggirano intorno alle 24 ore, talvolta anche di più).

”Abbiamo provato che spesso non si rispetta questa pausa per guadagnare tempo”, avvisano. Per Enzo Prete è imprescindibile rivalorizzare gli ingredienti a chilometro zero ed evitare gli errori più comuni, come l’eccesso di lievito, che rappresenta una bomba ad orologeria per la digestione, con la sensazione che l’alimento finisca di lievitare nello stomaco.
Un inciso: anche se le persone seguissero alla lettera le raccomandazioni, in casa, col forno elettrico, è tutto più difficile, perché la temperatura è piuttosto bassa e l’assorbimento di umidità eccessiva, con il rischio che la pizza abbia una consistenza tipo galletta. Caputo e Pugno consigliano di mettere sotto la pizza una pietra refrattaria e un recipiente con un po’ d’acqua, per migliorare la cottura.

Impasto

D’altronde, tramite ricerche, gli autori, che analizzano i composti chimici degli ingredienti della pizza, sono giunti ad una conclusione, che fa cadere un altro dei miti su questo piatto: fa ingrassare? La pizza è un alimento completo perché contiene i grassi dell’olio, le proteine del formaggio e i carboidrati dell’impasto. E’ un alimento completo, quindi non è necessario mangiare altro dopo, però nemmeno è necessario mangiarla tutti i giorni, dicono.

Di fatto, la pizza nasce come piatto delle classi popolari, nella seconda metà del XVIII secolo, a Napoli. Davanti alla scarsità di alternative, con la pizza ci si sfamava senza spendere molto denaro. Oggi le cose sono cambiate molto, perché contro la pizza, che ha guadagnato popolarità fino a diventare un piatto universale, si sono schierati nuovi concorrenti. Dal sushi, passando per il Kebab o gli hamburger, oggigiorno il cliente ha molte opzioni per placare la sua fame.
Quindi, se finalmente i pizzaioli avranno un riconoscimento per difendere il mantra dell’autentica pizza italiana, avranno qualcosa in più: mantenere un’attrattiva come alimento versatile, sano e divertente.E’ sinonimo di festa, dello stare insieme. La pizza piace a tutti, Alla fine del pasto tutti si sentiranno soddisfatti”, ricordano gli autori del libro. E se la pizza viene preparata da un pizzaiolo con abilitazione ufficiale, con tutta probabilità sarà ancora più buona.

Articolo scritto da Piergiorgio Sandri e pubblicato sul quotidiano spagnolo "La Vanguardia".
Si ringrazia "La Vanguardia" per l'autorizzazione alla traduzione e pubblicazione su "Cibo al microscopio".
Articolo tradotto da Luigina Pugno e revisionato da Walter Caputo.

N.B.: le immagini contenute in questo articolo sono tratte dal libro "La pizza al microscopio".

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